A differenza di Pep la cui ideologia sopra tutto, Carlo non ha alcuna filosofia. Non c’è mai stata una scuola Ancelotti. Lui risolve problemi
![Questa sera la sfida tra lo yin e lo yang del calcio: l’ideologo Guardiola versus il pulitore Ancelotti (The Athletic) Questa sera la sfida tra lo yin e lo yang del calcio: l’ideologo Guardiola versus il pulitore Ancelotti (The Athletic)](https://www.ilnapolista.it/wp-content/uploads/2024/04/000_34PM7YM.jpg)
Athletic si sofferma sulla sfida di questa sera tra Manchester City e Real Madrid. Due colossi del calcio moderno che negli ultimi anni hanno dato vita a sfide memorabili. E spesso, in questi incontro, erano presenti Guardiola e Ancelotti, lo yin e lo yang del calcio. Il perché possono essere definiti così lo spiega proprio Athletic.
Del Real si fa un gran parlare. Tanti i problemi, eppure la stagione non sembra deviare rispetto agli obiettivi prefissati. Almeno per il momento. Il sorteggio per i play-off della Champions League ha portato in dono il Manchester City, (in sei anni le due squadre si sono affrontato cinque volte). Anche il City ha i suoi problemi, i quali “mettono in ombra” quelli del Real.
“Il Real, ad esempio, non è stato costretto a spendere 200 milioni di sterline (247,6 milioni di dollari) per sistemare i buchi evidenti nella sua squadra a metà stagione. Il Real non ha vinto solo una delle 13 partite tra Halloween e Natale“. Ma soprattutto, “la stagione del Real non sarebbe un fallimento con l’eliminazione dalla Champions League (sono primi in Liga, ndr)”.
Nonostante ciò, “Guardiola non verrà licenziato se il City perde contro il Real. Ancelotti, d’altro canto, sa che una sconfitta segnerebbe quasi certamente il suo destino“.
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Carlo Ancelotti e Pep Guardiola, lo yin e lo yang del calcio
L’unica spiegazione per spiegare questo controsenso sta nell’analisi dei ” rispettivi datori di lavoro”. O meglio, le proprietà dei club e la storia di essi.
“Il successo del City è sempre stato radicato nella capacità del club di pensare a lungo termine, di attenersi a una visione, di adottare non solo l’energia sconfinata, ma anche lo zelo fondamentalista di una start-up. Guardiola è stato tentato di andare a Manchester con la promessa di costruire non solo una squadra, ma un club a sua immagine e secondo i suoi gusti. Il Real, al contrario, è legato alla tradizione, schiavo della sua storia, le aspettative elevate create dal suo glorioso passato sono cablate nella sua realtà duratura. Non è, e non è mai stato, un posto che tollera anche il fallimento più fugace“.
Una distinzione che la dice lunga anche sul modo di intendere la professione di allenatore da Ancelotti e Guardiola. Lo spagnolo iniziò come “raccattapalle del Barcellona, poi ne divenne giocatore e capitano e, infine, nel momento del bisogno della squadra della sua città natale, allenatore. L’obiettivo del suo lavoro, per come la vedeva lui, era quello di ripristinare un club che aveva perso la strada tracciata dal suo eroe e mentore, Johan Cruyff“.
Ancelotti invece muove i primi passi da allenatore a Parma. “Il suo capo era Calisto Tanzi, un magnate dei latticini e, come sarebbe emerso in seguito, uno dei più grandi truffatori d’Europa. Tanzi non era, molto probabilmente, il tipo di datore di lavoro che voleva conoscere la filosofia del suo manager. Una volta salutò Ancelotti alla festa di Natale del club con le parole: «Sai che la squadra sta giocando molto male?» Più tardi quella sera lo informò che sarebbe stato licenziato se il Parma avesse perso la partita successiva. La risposta di Ancelotti, come descritto nella sua meravigliosa autobiografia “Preferisco La Coppa”, fu: «E anche a lei un felice Natale, signore». Il suo lavoro consisteva semplicemente nel trovare un modo per vincere, non solo per ottenere il massimo dai suoi giocatori, ma anche per soddisfare le insaziabili richieste di coloro che stavano sopra di lui il più a lungo possibile“.
Al Parma Ancelotti impedì il trasferimento di Baggio. «Pensavo che il 4-4-2 fosse il meglio del meglio per quella squadra», scrisse. Il Divin Codino era un elemento di difficile collocazione sulla lavagna tattica. Così il rapporto con il Parma si ruppe. “Un errore che non ha mai più rischiato di ripetere. La carriera di Ancelotti è stata segnata, da allora, da una flessibilità assoluta: nelle tattiche, nel reclutamento, nel personale. Non ha, a differenza di Guardiola, uno stile di gioco distintivo, un’ideologia che considera al di sopra di tutto. Non rappresenta qualcosa, non in quel senso. Fa semplicemente ciò che ha sempre fatto: gestisce sia verso l’alto che verso il basso, trovando un modo per risolvere qualsiasi problema gli sia stato presentato. Forse è per questo che, nonostante tutto il suo successo, non c’è mai stata una scuola di Ancelotti. Guardiola ha una flotta di discepoli, composta da coloro che hanno lavorato con lui e da coloro che hanno semplicemente aspirato a farlo. Ancelotti no. Non proprio. Nessuno parla della scuola di Ancelotti, né elogia l'”Ancelottismo”. Non esiste un account sui social media dedicato a CarloBall“.
Questa dittatura dell’allenatore-filosofo mostra tuttavia le prime crepe. “Ruben Amorim e Ange Postecoglou, ad esempio, sono stati criticati per essere stati un po’ troppo Guardiola e non abbastanza Ancelotti. Sarebbe allettante dire che la flessibilità, al contrario del dogmatismo, è tornata di moda”.