Al via la sesta serie incentrata sul vicequestore che è ormai un cult. La simbiosi tra il personaggio e l’attore Marco Giallini

Rocco Schiavone e un viaggio sempre più difficile nel passato
La sesta serie di Schiavone è partita mercoledì 19 febbraio su Rai2 – le quattro puntate sono già disponibili su Rai play – e noi le abbiamo viste tutte e possiamo ora farne recensione senza violare il patto di spoiler che tanto affligge i videnti odierni. Già dai primi fotogrammi de “La ruzzica de li porci” si capisce come ci troviamo davanti un vicequestore Rocco Schiavone più scavato e – dal fumo – roco di sempre: nei sopralluoghi nel bosco fa quasi fatica a stare in piedi e non sono le leggendarie Clarks il motivo del suo essere claudicante. La fortuna di questa serie sta proprio nel dato che Marco Giallini – che interpreta il poliziotto romano esiliato ad Aosta – ha avuto un vissuto sentimentale e fisico una copia ed una figura con il personaggio.
Un gruppo di giovani e viziati ragazzi in un ricovero di montagna genera un omicidio molto sensato, mentre Rocco si alterna con il processo al dirigente Mastrodomenico nella Capitale, e un caso al Monte dei Cocci che ricorda un’esecuzione carnescialesca medievale. Soprattutto l’indagine romana è tutta una serie di riferimenti colti che il telespettatore si diverte a decodificare con tanto di citazioni ebraiche e riferimenti a piatti recepiti da Aspicio.
La mano di Manzini si sente tutta con la bravura annessa di Maurizio Careddu (la regia è di Simone Spada). Cambia l’attore che interpreta il reietto ispettore Italo Pierron che avrà grane grosse per il poker: ad Ernesto D’Argenio subentra Paolo Bernardini. Per il resto tutti i protagonisti sono al loro posto e recitano tutti il loro cliché solito. Rocco, dal canto suo, è sempre piú lontano dall’avere un’idea minima di futuro, “perché io non ho più nulla da perdere”. Nulla può la giornalista Sandra Buccellato (Valeria Solarino) che lo stalkerizza e neanche l’ispettrice Caterina Rispoli (Claudia Vismara) che ritorna in forza alla Questura di Aosta. In grande forma l’agente D’Intino (Christian Ginepro) sempre piú maschera di una sopravvissuta Commedia dell’arte. Mentre gli altri protagonisti – Antonio Scipioni (Alberto Lo Porto), Casella (Gino Nardella), Deruta (Massimiliano Caprara) – sono sempre sul pezzo.
La coppia scientifica – il medico legale Fumagalli (Massimo Reale) e la commissaria de la Scientifica Michela Gambino (Lorenza Indovina) – sono sempre piú un organismo monocellulare. Completa la squadra il procuratore Baldi (Filippo Dini) sempre più “tritacoglioni” legalistico. Crudo l’episodio dedicato ai pedofili – “Le ossa parlano” – e nell’ultimo tassello con il viaggio in Sudamerica si ricompone anche la triade Rocco, Furio (Mirko Frezza), Brizio (Tullio Sorrentino) in viaggio nei ricordi ed in caccia di Sebastiano (Francesco Acquaroli), l’infame e traditore. Ma il viaggio nel passato è sempre difficile mentre l’immagine dell’ex moglie Marina – Miriam Dalmazio ancora preferita alla primigenia Isabella Ragonese – diviene ancora piú evanescente.