A Calcio e Finanza: «Vediamo tutto in termini di redditività. Il calcio è secondario. De Laurentiis gestisce il club con molto successo, forse in un modo non ortodosso e unico»

Mirwan Suwarso, manager indonesiano e presidente del Como, ha rilasciato un’intervista a Calcio e Finanza in cui ha parlato dello sviluppo sportivo e commerciale del club, dallo stadio alle finanze, all’importanza di avere sostenitori come la famiglia Hartono e al posizionamento strategico del Como all’interno della politica della Serie A.
Il presidente del Como Suwarso: «Il calcio è secondario»
Perché ha scelto l’Italia?
«Stavamo cercando un progetto per un programma televisivo. All’epoca, gestivo una stazione televisiva in Indonesia e volevamo creare uno show che fosse una specie di documentario calcistico. L’Italia è sempre stata qualcosa che la gente ama. All’epoca, pensavamo che sarebbe stato un tema familiare per il pubblico, data l’immensa popolarità della Serie A in Indonesia durante gli anni ’90: sarebbe stata una bella storia da raccontare».
E perché Como?
«È stata una coincidenza. Cercavamo città vicine a Milano per motivi logistici, per facilitare le riprese, ma allo stesso tempo non volevamo investire in città enormi come Roma».
Ha parlato con il suo connazionale indonesiano Erick Thohir, ex proprietario dell’Inter, prima di investire in Italia?
«Ho parlato con il suo staff di aspetti pratici, chiedendo consigli su quali avvocati utilizzare e cose del genere. Ma in termini di decisioni aziendali del club, no».
Quali sono i vostri piani di sviluppo per Como?
«Per noi è fondamentale trovare un modo per trasformare il calcio in un vero business. Il calcio è il catalizzatore, la porta d’accesso, ma alla fine dobbiamo creare un ecosistema che possa sostenere l’attività calcistica. Ciò significa rendere tutto sostenibile. Un club di calcio in una città di 85.000 persone affronta grandi sfide nel diventare sostenibile solo attraverso il calcio. Tuttavia, siamo fortunati a trovarci in un posto in cui la città stessa è un marchio: il Lago di Como è un marchio globale. Sarebbe sciocco non sfruttare questa opportunità, integrando il calcio nell’ecosistema, non come elemento centrale ma come elemento chiave. Possiamo usare il calcio per aumentare la visibilità e al contempo sfruttare il marchio Lago di Como, sviluppando attività che partono dal club ma si espandono al marchio Como nel suo complesso».
La strategia del club
Su quali settori vi state concentrando in particolare?
«Mi piace pensare al nostro modello di business in modo simile a quello della Disney. Il parallelo è tra Disney e Como. Per la Disney, Disneyland rappresenta la sua divisione dei parchi a tema; per noi, il club di calcio e l’esperienza del giorno della partita sono la nostra “divisione dei parchi a tema”».
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«Abbiamo anche una divisione digitale che sta sviluppando un sistema di biglietteria basato su blockchain, che verrà lanciato molto presto. Questa divisione si occupa anche della gestione dei nostri dati, che è fondamentale per tutte le operazioni legate al calcio. Infine, abbiamo una divisione Fmcg (beni di largo consumo), che attualmente include la nostra birra, La Comasca. Tutto ruota attorno alla creazione di un ecosistema in cui ogni elemento lavora insieme, ed è così che vediamo il nostro progetto».
Qual è la strategia dietro la presenza di così tanti vip allo stadio? Abbiamo visto celebrità come Keira Knightley, Hugh Grant e Andrew Garfield a Sinigaglia.
«È una coincidenza, ma per noi è una buona coincidenza. Succede in ogni stadio in Italia, ma forse non si nota tanto quando la gente va a San Siro perché è un luogo così iconico. Ma questa è Como: quando grandi nomi visitano una piccola città, la gente tende a notarlo di più. Detto questo, non è qualcosa che perseguiamo attivamente in modo aggressivo, succede e basta. Non abbiamo fatto nulla; vengono da sole, soprattutto dopo aver letto cosa sta facendo Cesc Fàbregas. Ad esempio, James Righton, il marito di Keira Knightley, voleva visitare Como dopo aver letto di come Cesc Fàbregas stava costruendo un entusiasmante marchio calcistico, quindi voleva vederlo di persona. Da lì, tutto il resto è venuto da sé».
L’idea del calcio italiano di Suwarso
Come valuta l’immagine del calcio italiano?
«Il calcio italiano è sottovalutato. Anche il calcio francese è sottovalutato, ed è molto sottovalutato. Quello che stiamo facendo a Como, avremmo potuto farlo anche a Bordeaux. A seconda di dove vai, la strategia può sembrare diversa. Il calcio italiano, secondo me, è uno sport che ha molto spazio per crescere, dal punto di vista calcistico, tecnologico e di trasmissione. Ci sono molte opportunità; è un prodotto molto forte a livello nazionale, ma forse non altrettanto forte a livello internazionale, il che significa che c’è solo spazio per crescere».
Che impatto può avere il fatto che oltre la metà dei club sono di proprietà straniera?
«Spero che tutti gli altri proprietari ci vedano non solo come stranieri, ma come uno di loro, che cerca di costruire il campionato insieme. Non credo che importi da dove vengono; ciò che conta è cosa stanno cercando di fare insieme. Se guardi persone come, ad esempio, il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, è un individuo ma pensa come un’entità aziendale. Gestisce il suo club con molto successo, probabilmente in un modo non ortodosso e unico, ma commercialmente è ancora molto astuto. Allo stesso modo, i Percassi, proprietari dell’Atalanta, sono molto intelligenti, gestiscono il loro club come un’azienda. Quindi penso che forse in passato ci fosse uno stereotipo per cui i proprietari gestiscono i club, ma nell’era moderna, credo che molti proprietari di club di calcio stiano iniziando a diventare più aziendali».