Al Messaggero: «Oggi manca il sacrificio. Manca la strada, è vero. Ma anche il lavoro e gente che insegni calcio in una certa maniera».

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«Ma c’erano calore e amore. I tre maschi dormivano in un letto, la casa non era grande. C’erano problemi, avevamo poco ma ce lo facevamo bastare. Giocavamo, c’era casino, mia madre mi rincorreva con la cucchiarella e quando papà tornava a casa la sera gli veniva presentato il conto. Un’infanzia comunque felice ».
Ha dovuto pure lavorare. «Nel negozio di casalinghi di mia zia Maria, portavo le bombole in bicicletta e le montavo negli appartamenti. A volte nemmeno la mancia, e quelle cinque-dieci lire facevano pure comodo. Quando sono diventato famoso, ”Ah bello, Brù, ti ricordi quando ci portavi le bombole a casa?” “E come, non mi ricordo? Ricordo pure che non mi davi nemmeno ‘na mancetta».
Poi arrivò il calcio
«Facevo i tornei dei bar, ero un dribblomane, un bel sinistro. Tonino Trebiciani mi segnalò alla Roma dopo che andò via Herrera, che inizialmente mi aveva scartato. Avevo diciotto anni».
Ora i giocatori si scelgono con l’algoritmo, non dalla strada. «Manca il sacrificio, si vuole tutto e subito. Si pensa ai traguardi, non a costruirli pian piano. Manca la strada, è vero. Ma anche il lavoro e gente che insegni calcio in una certa maniera. Oggi i calciatori vanno via dalle giovanili prima dei 16 anni. A noi è successo solo con Scamacca. Quando tanti anni fa proponevi i primi soldi, i genitori toccavano il cielo con un dito, per i giocatori era un sogno. Un esempio è De Rossi: non vedeva l’ora di stare nella Roma».
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Il suo rapporto col club a è andato sempre bene? «Beh, da Viola a Sensi, ci sono state occasioni per andare via: mi voleva Maradona al Napoli, anni dopo la Figc. Ma sono sempre rimasto. Il primo anno di Pallotta ebbi qualche problema. Si voleva cambiare il settore giovanile. Ho solo chiesto: “In cosa ho sbagliato? Da qui sono usciti giocatori importanti, sono state fatte tante plusvalenze”. Sono uscito e poi rientrato».
Come spese i primi soldi del calcio? «Sotto Natale arrivò il primo stipendio, avevo una 128 usata, blu, l’ho riempita di regali per portarli a casa. Giubbotti, anelli, roba di ogni genere, per la mia famiglia. Niente, mi hanno rubato tutto prima di tornare a casa, io vivevo al Convitto di Ostia».
Come vive il calcio un settantenne, s’è un po’ stancato? «Vedo ancora tante gare. E poi la Roma naturalmente, non si discute. Vivo grandi soddisfazioni, nell’aver visto De Rossi fare l’allenatore qui, di aver cresciuto al fianco di Totti, bella intuizione di Gildo Giannini; e oggi nel guardare Ranieri, un uomo di 73 anni, che ama il calcio e la Roma come pochi, come ho fatto io. Sta facendo cose incredibili».
I suoi gioielli? «De Rossi, Aquilani e non solo».