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Bruno Conti: «Nel 2005, quando morì il Papa, Cassano non voleva venire in Vaticano. L’ho rovesciato»

A Repubblica: «Di Bartolomei il mio rammarico. Poco prima di quello che successe avevo organizzato una partita, non ci ha fatto capire cosa aveva dentro»

Bruno Conti: «Nel 2005, quando morì il Papa, Cassano non voleva venire in Vaticano. L’ho rovesciato»

Tra pochi giorni è il compleanno di Bruno Conti, la leggenda della Roma spegnerà 70 candeline. La Repubblica lo ha intervistato. Di seguito alcune delle sue risposte.

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Bruno Conti: «Di Bartolomei il mio rammarico»

Il primo ricordo:
«Ma il primo pensiero va a mio padre, a quando sono stato preso alla Roma nel ’74 e a casa nostra è arrivata questa notizia: aveva fatto sacrifici per crescere sette figli, quando gli dissi che mi avevano preso non stava più nella pelle. Era un taciturno, non è che parlasse tanto, ma negli occhi vedevo la sua gioia, la sua soddisfazione: suo figlio andava a giocare nella Roma».

Racconta degli stornelli in Nazionale durante il Mondiale del 1982:
«Era con Gianpiero Marini: lui suonava la chitarra molto bene, allora io e Ciccio Graziani ci cantavamo sopra e venivano fuori delle canzoni un po’ strane, capito? Sa, le osterie…».

Gli stornelli in ritiro, fuori il silenzio stampa.
«Eravamo a Vigo, ma eravamo partiti da Alassio già con tante polemiche, ammazzavano Bearzot, non gli perdonavano di aver portato Paolo Rossi dopo la squalifica, e poi al posto di Pruzzo… C’era veramente quest’aria pesante, già
dopo la prima partita con la Polonia, che avevamo pareggiato. Noi, per alleggerirla, ci facevamo una cantata».

Il vizio delle sigarette:
«Non è bello dirlo, ma fumo da quando ero ragazzino: siamo cresciuti in strada. Una volta era diverso, c’erano tanti calciatori con il vizio, sembrava normale. Poi, però, quando la vita ti presenta il conto e nascono problemi a livello
medico, che vanno tanto ma proprio tanto a condizionare la tua salute, ci ripensi…».

La canzone La leva calcistica della classe ’68 è dedicata a lei o a Di Bartolomei?
«Molti pensavano fosse per me, per quel ragazzino con la maglia numero 7. Ma, come mi ha detto Francesco De Gregori, era dedicata ad Agostino».

L’ultima volta che lo ha visto?
«È il mio rammarico. Poco prima che succedesse quello che è successo avevo organizzato una partita al palazzetto dello sport con tutti gli amici dello scudetto per raccogliere fondi per un amico rimasto paralizzato. Venne anche
Agostino: era sereno, si rideva, si scherzava, non c’è stato nulla che potesse far pensare, non ci ha fatto capire cosa aveva dentro. Mi è rimasto quel rimpianto».

Bruno Conti ha anche allenato la Roma.
«Non l’ho allenata, l’ho traghettata. Nel 2005, il giorno del mio compleanno, ero a Cagliari a trovare i nipotini. Mi telefonò Rosella Sensi. E mi disse: “Abbiamo fatto una riunione e abbiamo pensato a te per guidare la Roma”. Ho capito cosa dovevo fare in quel momento. Ma è stato un anno particolare, ci siamo salvati a Bergamo con un gol di Cassano,
avevamo davvero paura di retrocedere. E c’è un episodio…».

Be’, raccontiamolo.
«Quell’anno morì il Papa e invitarono tutta la squadra in Vaticano. Convocammo i giocatori per dirglielo. Intervenne Cassano: “Ma è obbligatorio venire?”. Io già un po’ arrabbiato, risposi: “Assolutamente no, se non vuoi venire, non vieni”. Dopo un po’ lui fa: “Però se non vengo non vorrei che poi i giornalisti…”. Non vi posso dire quello che gli ho detto, l’ho rovesciato. Ma con Antonio c’è un affetto profondo, ci vogliamo ancora oggi un bene dell’anima».

Ecco, Ancelotti: ha mai provato a portarlo alla Roma?
«Ma come potevi portarlo via Carlo dalle società dove è stato? Bayern, Chelsea, Real… certo la battuta gliel’ho fatta, anche l’ultima volta: “Dici sempre che sei della Roma, ma quando vieni ad allenarla?”».

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