Al Corsera: «La maturità scientifica la presi poi da privatista per ottenere il brevetto di pilota. Feci il militare con i Righeira. Chiappucci mi salvò dalla depressione»

Il Corriere della Sera ha intervistato Gianni Bugno che ha vinto un Giro d’Italia (1990) in maglia rosa dalla prima all’ultima tappa, due Mondiali di fila, una Sanremo, un Lombardia e altre sessanta grandi corse. Sceso dalla bicicletta, Bugno ha preso il brevetto di pilota d’elicottero e volato per cinquemila ore salvando centinaia di vite umane in autostrada, in montagna o sulle piattaforme petrolifere.
Racconta perché ha deciso di fare il ciclista.
La decisione di diventare ciclista?
«In quarta liceo, colpa di una professoressa convinta che chi faceva sport non potesse andare bene a scuola. Bravo in fisica, chimica e matematica, pessimo in italiano e latino: per la timidezza mi esprimevo in modo disastroso. Lei mi rimandò in due materie, per ripicca non mi presentai agli esami di riparazione e mi bocciarono. Andai dai miei spiegando che con la scuola avevo chiuso: avrei fatto il ciclista».
Come la presero?
«Malissimo».
Il militare.
«Prima il militare: dopo il Car a Barletta, bersagliere a Milano. Fu un bel periodo, mattina in caserma, pomeriggio ad allenarmi con il gruppo atleti. La compagnia era piena di matti, in camerata c’erano i Righeira, quelli di Vamos alla Playa».
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È vero che nascondeva le coppe e i trofei?
«Prima di arrivare a casa le avvolgevo in carta da giornale e poi le mettevo nei sacchetti della spesa. I fiori li faceva sparire mio padre».
Perché? «La gente invidia chi vince o ha successo. L’invidia è un brutto sentimento. Mi piaceva essere considerato come gli altri, uno normale».
Il cambio di vita?
«Pianificato mentre ero corridore: guardavo l’elicottero della Rai che ci svolazzava sopra e pensavo che quello sarebbe stato il mio nuovo lavoro».
Non è roba per tutti.
«Se non sei stato pilota militare parti svantaggiato. Il primo ostacolo era il diploma di scuola superiore che non avevo. Disputavo il Giro e mi iscrissi al quinto anno da privatista. Poi la maturità scientifica: derivate, integrali, funzioni complesse. Ma ero motivato in modo spietato e passai. Da quel giorno e per anni andai in trasferta con due trolley: nel secondo c’erano i manuali per gli esami di volo».
Dopo aver pilotato elicotteri, fu costretto a uno stop improvviso.
Nel 2020 lei ebbe un malore a terra, le tolsero il brevetto e non glielo restituirono più.
«Non c’è stato verso di riaverlo. Avevo programmato la mia vita pensando sempre al capitolo successivo e qui non lo vedevo. È stato un periodo bruttissimo dove tutti, a partire dalla Federazione Ciclistica, mi hanno abbandonato. Vedevo nero».
Chi l’ha salvata?
«Claudio Chiappucci, il mio antico avversario».
El Diablo?
«Lui. Ha cominciato ad invitarmi a incontri, eventi, pedalate turistiche. Siamo diventati inseparabili, mi ha aiutato a ridare un senso alla vita».