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Chi ha visto Ibrahimovic? Il “boss” del Milan è diventato un latitante

Dall’onnipresenza all’oblio. Voleva Tare, sta arrivando Paratici. Operating partner, senior advisor: rimangono solo le etichette pompose, radenti il ridicolo

Chi ha visto Ibrahimovic? Il “boss” del Milan è diventato un latitante
Cm Torino 18/05/2024 - campionato di calcio serie A / Torino-Milan / foto Cristiano Mazzi/Image Sport nella foto: Zlatan Ibrahimovic

Ibrahimovic si sta diradando. Come se i media soffiassero via una nebbiolina che a Milano peraltro è ormai solo un cliché, e al sole restasse il Milan. Impalato. Un club denudato dall’ingombranza dell'”operating partner”, ma più che altro “senior advisor” di RedBird. Le etichette pompose, radenti il ridicolo, a volte c’azzeccano: trasmettono una volatilità gassosa un tempo inimmaginabile. C’era il presidente, c’era il diesse. Scrivanie, campo. Zlatan Ibrahimovic s’è perso in una terra di mezzo, friabile, incerta come la scena finale dei Soprano: quel nero d’improvviso. E adesso? Come è finita?

Perché Ibra non c’è, risulta così assente dalle ultime cronache rossonere che persino la Gazzetta dello Sport l’altro giorno gli ha dedicato una pagina: “Che fine ha fatto?”. Mancava giusto la foto con appello, da affiggere ai tetrapack del latte come si faceva per i bambini scomparsi quando non avevano inventato l’internet. Fateci caso: il “boss” – per autoacclamazione pre-Liverpool – è desaparecido. Proprio lui, voluminoso per imperativo categorico.

A Milan-Como non c’era, aveva l’influenza dicono. Non l’avevano visto a Milanello per tutta la precedente settimana, proprio una brutta influenza quest’australiana. Sui social, dove solitamente è molto presente, non pubblica nulla dal 25 febbraio. Non “parla” dalla intervista di GQ resa settimane prima. Contro Torino, Bologna e Lecce in tv è andato Geoffrey Moncada, prima della Lazio Giorgio Furlani. L’ultima impronta d’Ibra risale al doloroso dopopartita di Milan-Feyenoord.

Ibrahimovic aveva individuato in Igli Tare il nuovo direttore sportivo. Poi Furlani ha scavalcato il “boss”, è volato negli Stati Uniti da Gerry Cardinale, e ha preso in mano la questione. Basta sfogliare i quotidiani di questi giorni, e fare una ricerca per “Paratici”, oppure “Allegri”: la juventinizzazione pare la panacea d’ogni male, di questi tempi.

La Gazzetta allora ha preso a sospettare: e se dietro alla sparizione di Ibra ci fosse “l’invito a comparire meno nelle faccende riguardanti il Milan?”. Lui stesso ha più volte precisato che non è formalmente un dipendente del club, non compare nell’organigramma societario. Ma è un fatto che l’uomo che più d’ogni altro s’è raccontato in 20 anni per sovradimensione ha preso ad accostare: un passo di lato e uno indietro, come un cavallo zoppo su una scacchiera in bilico.

È uno scarto simbolico, che parla del Milan molto più – forse – del suo faticoso incedere in campionato. Perché Zlatan amava imporsi in quanto Zlatan, e non per altro la successiva domanda (“e voi chi cazzo siete?”) avrebbe attanagliato un ventennio di avversari. Chi siamo noi mentre lui, Ibrahimovic, sa perfettamente di essere Zlatan? Aveva una superiorità ormai mistica, sebbene autoriferita. Riuscendo ad accentrare tutto su di sé, per farsi indimenticabile, pare finito risucchiato nel suo stesso buco nero. Tra le attenzioni del contesto che non riesce più a governare. Prima era esotico, indecifrabile. Il Milan lo sta riducendo ad una caricatura un po’ bolsa dello stesso personaggio. Doveva reggere lo scheletro del club, funzionare come un tessuto connettivo. Ha ritrattato, o almeno così pare. Un attimo fa era il boss, ora è latitante.

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