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Conte racconta a L’Equipe lo scudetto da imbattuto con la Juve: «L’allenatore è il termometro, non deve rilassarsi»

«Il grande pericolo di chi vince il campionato con diverse giornate d’anticipo è il relax mentale. La cosa più importante è vincere titoli».

Conte racconta a L’Equipe lo scudetto da imbattuto con la Juve: «L’allenatore è il termometro, non deve rilassarsi»
Empoli 20/10/2024 - campionato di calcio serie A / Empoli-Napoli / foto Image Sport nella foto: Antonio Conte

Conte racconta a L’Equipe lo scudetto da imbattuto con la Juve: «L’allenatore è il termometro, non deve rilassarsi».

Il Psg potrebbe vincere il campionato da imbattuto e allora ha intervistato Antonio Conte che quest’anno non ha rilasciato interviste ai giornali italiani. Lo fa a L’Equipe parlando della suo scudetto da imbattuto con la Juventus.

Quando la Juventus chiamò Antonio Conte nell’estate 2011 per dare inizio alla rinascita, la dirigenza bianconera probabilmente non immaginava cosa sarebbe successo: in 38 partite di Seria A, l’attuale tecnico del Napoli finì la stagione con zero sconfitte (23 vittorie e 15 pareggi) e solamente 20 gol subiti.

La Juve portò a casa lo scudetto con una giornata d’anticipo e Conte divenne uno dei pochi allenatori a vincere “da imbattuti”.

Conte: «L’allenatore è il termometro della squadra»

In un’intervista a L’Equipe, il tecnico ricorda ancora quell’impresa, dando anche la sua opinione sul Psg, che attualmente ha zero sconfitte in Ligue 1 in 26 partite.

Quando hai firmato con la Juventus, nel 2011, veniva da due stagioni difficili. Rimanere imbattuti per tutta la stagione non era nei piani, vero?

«Oh no, non proprio. Non perdere nemmeno una volta in stagione è inimmaginabile e non è mai qualcosa che pianifichi. Quell’anno, siamo andati anche in finale di Coppa Italia, dove abbiamo perso contro il Napoli (0-2), la nostra unica sconfitta della stagione. Quindi sì, abbiamo superato le nostre previsioni più ottimiste». 

Precisamente, c’è stato un momento della stagione in cui hai iniziato a pensarci?

«A me quello che interessava, dal momento in cui ci siamo trovati in testa alla classifica, era lottare per lo scudetto, e disturbare il più possibile il Milan, che era il campione in carica e che aveva una squadra molto più forte della nostra. Erano i favoriti, c’erano Ibrahimovic, Thiago Silva, Gattuso, Nesta, Robinho… l’obiettivo era stare tra i primi tre. Poi nell’ultima fase della stagione eravamo proprio dietro (la Juve era 4 punti dietro dopo la 29esima giornata, portandosi in vantaggio alla 31esima). In quel momento, l’obiettivo è diventato quello di vincere il campionato. Non avevamo molto margine sul Milan, eravamo super motivati e quindi siamo riusciti a non perdere. È raro, in Italia c’è stato solo il Milan che lo ha fatto prima di noi, con Fabio Capello, nel 1991-1992».

Alla fine, quando mancano cinque o sei partite, diventa una motivazione in più?

«Per noi, la motivazione delle ultime partite era conquistare il titolo. Per il Psg è diverso, perché hanno un vantaggio… Non penso che il Psg abbia mai raggiunto questa impresa nella sua storia. Una volta raggiunto l’obiettivo, ci può sempre essere un relax psicologico, e nelle ultime partite puoi avere meno motivazione nella tua testa. Questo è il grande pericolo. Noi all’epoca non abbiamo avuto la possibilità di rilassarci, perché il Milan era lì, vicino a noi».

Avere così tanti punti di differenza può anche permetterti di giocare più rilassato, e quindi ancora meglio, giusto?

«Non è ovvio. A volte sì, ma la concentrazione è più importante del rilassamento. E poi il Psg, a differenza di noi all’epoca, gioca la Champions League. C’è quest’altra competizione che che ti fa perdere energie. E che occuperà logicamente i pensieri dei giocatori una volta vinto il titolo in Francia. È inevitabile che entrino in gioco altri obiettivi, che diventeranno priorità. Perché, comunque, la cosa più importante per i giocatori è vincere i titoli. Dopo, essere imbattuto è bello, e rimane nella storia, ma prima di tutto sono i titoli che contano. Per mantenere il livello necessario, hai bisogno di giocatori molto forti, non solo in termini di qualità tecnica, ma anche di personalità, il modo di approcciare al lavoro, la mentalità».

Cosa ne pensi del Psg in questa stagione?

«Penso che abbia davvero meritato la qualificazione contro il Liverpool in tutte e due le partite. Hanno giocato molto bene all’andata, attaccando, hanno perso occasioni importanti. Per il ritorno… So cosa significa giocare ad Anfield, in una partita con una posta così alta, e non è per tutti. Il Liverpool è una squadra formidabile, sono primi in Premier League con un margine enorme. Bisogna misurare ciò che il Psg è riuscito a fare. Sono una squadra impressionante e Luis Enrique sta facendo un lavoro incredibile».

C’è bisogno di un allenatore molto esigente per non perdere mai?

«Non deve essere troppo tranquillo. L’allenatore è il termometro della squadra, deve sentire ogni calo di tensione, ogni calo di motivazione, deve essere in grado di trovare il modo di svegliare tutti e mantenere la concentrazione al massimo. Ma penso che Luis Enrique non abbia bisogno dei miei consigli, sta facendo un ottimo lavoro».

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