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Danilo, la prima vittima “intelligente” di Motta alla Juve: «Non seguo la mandria, non devo vivere come gli altri»

Al Guardian: «Con Guardiola ho capito che giocavo a calcio in modo sbagliato. Quando i club capiranno quanto costa loro la salute mentale dei giocatori, se ne occuperanno»

Danilo, la prima vittima “intelligente” di Motta alla Juve: «Non seguo la mandria, non devo vivere come gli altri»
Db Torino 30/10/2024 - campionato di calcio serie A / Juventus-Parma / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Danilo Luiz da Silva-Ange-Yoan Bonny

Danilo è stata la prima vera vittima del repulisti delle intelligenze di Thiago Motta alla Juventus. È dovuto andar via a gennaio, per poco non è venuto al Napoli. In 13 anni in Europa ha vinto campionati in ogni paese in cui ha giocato – Portogallo, Spagna, Inghilterra e Italia – e ora è tornato in Brasile con il Flamengo. Punta ancora al Mondiale 2026 col Brasile, tutto sommato ha solo 33 anni.

Intelligenze, dicevamo: Motta ha dimostrato di esserne un po’ allergico. Danilo non è sicuramente un giocatore banale. Ha abbandonato i social due volte per un periodo molto lungo a causa della loro tossicità. Parlando con il Guardian dice di ripensare a quando era più giovane chiedendosi perché avesse comprato un’auto che usava una volta all’anno. Dice anche che studierà psicologia una volta terminata la carriera invece che cercare un lavoro come allenatore. Dice di “Non voler seguire la corrente, la mandria per così dire. Non devo pensare come tutti gli altri, non sono obbligato a vivere come tutti gli altri. Non devo vestirmi come tutti gli altri, non devo parlare delle stesse cose di cui parlano tutti gli altri”.

E dice che l’allenatore che gli ha cambiato la testa è stato… no: non Thiago Motta. “Pep Guardiola. Pep istruisce i suoi giocatori. Questa è la cosa più importante del suo lavoro. Fa sì che tutti i giocatori pensino al calcio allo stesso modo. Tempo, spazio, movimento, possesso, prendersi cura della palla. Ti fa capire gli spazi del campo come nessun altro allenatore e vive la partita emotivamente come nessun altro allenatore. Guardiola mi ha fatto il lavaggio del cervello, ma in senso positivo. Era come se fossi all’università. Ciò che ho vissuto con lui mi ha permesso di alzare il mio livello e di mantenerlo fino a oggi. Non è che fossi un idiota prima di arrivare al Manchester City, ma ho capito che giocavo a calcio nel modo completamente sbagliato. Se l’avessi incontrato prima, mi avrebbe reso la vita molto più facile”.

Danilo quando è arrivato al City era già Danilo: aveva già giocato nel Santos in Brasile, nel Porto e vinto due Champions con il Real Madrid di Zidane. Ha trascorso due stagioni al City, vincendo il campionato in entrambe le stagioni, con 60 presenze. Dice che la crisi del City di oggi è abbastanza normale perché “il calcio è ciclico. Ci sono molti giocatori che ora hanno 33, 34 anni e sono stati al top della loro forma per otto, nove, 10 anni. Questo calo di prestazioni è naturale. Devi guardare anche l’aspetto mentale. Quando parlo di età, non è nemmeno fisico. È l’esperienza di essere sotto così tanta pressione per così tanti anni, la pressione di vincere e vincere sempre. Quando perdi, la sensazione è che tutto sia andato storto e ti senti meno prezioso, incapace. È difficile bilanciare queste sensazioni. Ecco perché quando vinci, provi solo sollievo. Tuttavia, con l’età arriva una migliore comprensione ed è più facile riflettere su alcune delle sconfitte e delle vittorie”.

Danilo non vuole continuare a giocare fino a 40 anni. Vuole godersi la vita fuori dal calcio. “Quando giocavo per il Porto, per esempio, venivo in Brasile una volta all’anno. Ho comprato un’auto, una Camaro, che è costata 500.000 real (circa 60.000 euro, ndr). Bene, l’auto era a Bicas. Cosa avrei dovuto fare con una Camaro a Bicas? C’è molta pressione sociale per avere una bella auto perché sei un calciatore e tutto il resto. Non ci posso pensare…”.

I social, dicevamo. “Per quanto diciamo che non ci importa di queste cose, dopotutto siamo esseri umani. Non puoi fare a meno di sentirlo. Non sono dipendente dai social media, non sono un tipo molto attaccato. Ma vogliamo essere accettati dalle persone, vogliamo ricevere feedback positivi. Nessuno vuole feedback negativi. Non importa quanto studi, quanto ti preoccupi della tua salute mentale, quanto sei maturo, vuoi essere accettato. E i social media sono un ambiente tossico. Tossico a tutti i livelli”.

“Al Real Madrid ho sofferto molto al punto di cercare aiuto psicologico. Ci sono stati momenti in cui sembrava che non ricordassi più come si gioca a calcio. Le critiche mi facevano davvero male. Ero completamente ostaggio delle critiche, dei social media, di tutto. È stato allora che ho iniziato a lavorare con uno psicologo sportivo”.

Riguardo alla salute mentale, “lo dirò senza mezzi termini: i club faranno qualcosa solo quando si renderanno conto del danno finanziario che stanno subendo. Guarda quanti giocatori che erano stelle a livello giovanile e che non sono entrati nel gioco professionistico a causa di questa valanga di critiche. Quando arrivi, ci sono un sacco di soldi, donne e fama. Ma come affrontarlo? Conosciamo tutti qualcuno che ha perso la strada nel calcio. Quando i club si renderanno conto di quanti giocatori stanno perdendo a causa di problemi emotivi e psicologici, ci penseranno due volte e inizieranno a investire perché questo è un valore tecnico e finanziario per la squadra. E questo è disgustoso perché non gli importa dell’essere umano. Dobbiamo umanizzare di più il calcio. La gente lo ignora ancora, non gli piace parlarne. Ma quando si tratta dell’aspetto finanziario, gli importa”.

Danilo non farà l’allenatore: “Zero. Nessuna possibilità. Penso che il calcio abbia ancora molto da darmi, ma quando avrò finito, avrò bisogno di voltare pagina nella mia vita. Voglio iniziare l’università, voglio studiare psicologia, voglio studiare comunicazione. La vita è imprevedibile e ho imparato a permettermi di cambiare idea”.

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