Al Corsera: «Sarei stato tossicodipendente anche con un altro padre. La tossicodipendenza è una malattia, come per lui il diabete che poi lo ha ucciso»

Il Corriere della Sera ha intervistato oggi Pierfrancesco Villaggio, figlio del grandissimo attore Paolo, scomparso nel 2017 per complicazioni da diabete. Pierfrancesco ricorda la vita con suo padre e anche la difficile parentesi della droga che non avrebbe superato se suo padre non lo avesse portato in comunità da Muccioli.
Il primo ricordo con lui? «Ho dei ricordi bellissimi di quando andavamo insieme allo stadio a vedere la Lazio, che tifavo io: lui è sempre stato della Samp».
Il calcio vi univa? «Il calcio era solo nostro. Abbiamo girato l’Europa per vedere la Samp o il Milan, quando ci invitava Berlusconi: all’andata viaggiavamo con lui sull’aereo privato, al ritorno però non c’era mai».
Vi siete goduti i tempi di Vialli eMancini insieme. «Ero molto orgoglioso di mio padre, lo trattavano tutti in modo ossequioso. Vialli e Mancini provavano a fargli fare delle battute, ma lui non era molto dell’idea».
Fuori dal set frequentava gli attori con cui girava? «Nessuno, a parte Gigi Reder, il ragionier Filini. Però era molto amico di Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, loro li frequentavamo tanto. Ma non è che mi facesse impazzire quando cucinava Tognazzi».
Suo padre era molto amico di Fabrizio De André. Che ricordo ha? «Veniva spesso a trovarci a Roma. Quando al mattino uscivo per andare a scuola, lo trovavo che dormiva vestito sul divano del salotto. Gli chiedevo perché non andasse a letto, ma a lui piaceva così».
Avevano scritto insieme Carlo Martello. Li ha mai sentiti cantare? «No, questo non è mai successo. Ricordo invece che mi impressionai molto quando lo rapirono, anche perché mia madre per un momento fraintese: aveva capito che avevano sequestrato me».
Fellini? «Paolo aveva per lui un rispetto reverenziale».
Benigni? «Era bello pazzariello, molto simpatico».
E con lei e sua sorella è stato generoso? «Con me troppo. Forse gli rimprovero di avermi viziato, anche se ai tempi mi guardavo bene dal protestare».
Può fare un esempio? «Alle medie mi bocciarono e lui, che stava girando un film in Brasile, mi comprò un biglietto in prima classe per raggiungerlo. Oppure facevo l’album delle figurine, come tutti i bambini italiani, e lui due volte mi portò in edicola e comprò tutte le figurine che c’erano, togliendomi così il gusto di completarlo. Crescendo, i regali sono diventati più grandi. Se gli chiedevo una macchina, mica un libro, lui me la comprava subito»
Si è mai chiesto se con un altro padre non sarebbe caduto nella tossicodipendenza? «Sì, ma mi sono risposto che sarebbe successo lo stesso. La tossicodipendenza è una malattia, come lo è stato per mio padre il diabete, che poi lo ha ucciso».