«La mia prima Juve incarnava la mia idea di calcio. Il difficile è allenare la testa dei calciatori. Conte era il mio riferimento in campo»

Maurizio Crosetti ha intervistato Marcello Lippi per Repubblica. Ogni presentazione sarebbe superflua. Di seguito alcuni passaggi della chiacchierata.
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Ad aprile, insieme allo scafo da rimettere in acqua se fa bel tempo, saranno 77 anni. «I ricordi sono tanti e non li mando via, anche perché sono quasi tutti felici. Però non rivorrei niente indietro, dal momento che ho avuto tutto. Ho avuto la vita migliore del mondo, il mio tempo va bene così». Anche se è diventato più lento, questo tempo, e più fragile. «A volte i giorni sono un problema, specialmente i pomeriggi d’inverno così lunghi. Mi concedo un mezzo bicchiere di vino, così mi prende sonno e posso riposare sul divano. Poi bisogna fare arrivare le sette di sera. Mi annoio un po’».
Due figli grandi, Stefania e Davide, e due nipoti. «Ormai Lorenzo ha 23 anni, sembra ieri che spingevo il passeggino, invece Mia è piccola, ha nove mesi e mezzo. L’amore di un nonno è più completo di quello di un padre, forse persino più grande. Non esiste Coppa del mondo che valga una gioia simile».
Gli chiediamo del primo scudetto alla Juventus: tra poco saranno trent’anni. «Eravamo la modernità. Credo che quella squadra rappresentasse già benissimo la mia idea di calcio: aggressiva in ogni zona del campo, organizzata ma senza l’ossessione della tattica che oggi ha contagiato un po’ tutti. Avevo giocatori disposti al sacrificio. La cosa più difficile è capire cos’hanno dentro le persone, e poi allenarle nella testa. Come giocano, quello si comprende al volo».
Le partite le guarda ancora. «Spengo la tivù solo se una delle due squadre non può più essere raggiunta. Gli allenatori mi sembrano più preparati rispetto alla mia generazione, e c’è anche un maggiore equilibrio, sono sparite le squadre materasso. Lo scudetto? Non mi stupirei se tornasse in gioco pure la Juve».
«Ne ho allenati tanti, e tanti magnifici». Marcello, di botto: il più grande? «Mmmm, come faccio? Se dico Del Piero non posso non pensare a Zidane, se dico Zidane non posso non pensare a Del Piero… E poi Vialli che mi manca tanto: generoso, ironico, intelligentissimo, un fuoriclasse e un mattacchione. Ma anche Conte, che era il mio punto di riferimento. E Pirlo, Nedved, Totti, Gattuso, Gigi… E Roberto Baggio, certamente: uno dei più grandi della storia».
«Allenare gli azzurri è un po’ come fare il Presidente della Repubblica: sei di tutti. E io so che non ci dimenticheranno mai». Nostalgia? «Ho smesso ormai da cinque anni, e la panchina sinceramente non mi manca».
Stare da soli, anche questo è un esercizio: «Inevitabile, come pensare alla morte quando è passato il tempo, oppure avere paura delle malattie: per i miei cari, più che per me. Ma non mi sento ancora così vecchio»“.