A La Stampa, dopo il primo titolo nel salto in lungo ai Mondiali indoor: «Tante voci, non è importante: quando vinci sulla barca e quando gira storta tutti a spiegare i motivi per cui la barca non va».

La Stampa intervista Mattia Furlani che a 20 anni ha vinto il primo titolo della carriera con un salto da 8,30 metri ai Mondiali indoor. Quindici giorni fa ha pianto per un oro mancato agli Europei in Olanda.
Che cosa sposta questo oro? «Mi dà la consapevolezza di cui ho bisogno. Me la sono andata a prendere. La prova agli Europei in Olanda è stata una botta, mi ha disorientato e non per l’argento, che è stupendo, solo perché non ero io. Essere il favorito era un’esperienza nuova, ora ho preso dei punti di riferimento. Quando va bene è facile, sono tutti bravi a gestire i lati positivi, quando va storta senti tante cose… L’oro mi risistema l’autostima: sono convinto del modo con cui mi alleno, non ho niente da invidiare a nessuno»
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Che cosa le ha dato fastidio dopo quel secondo posto? «Tante voci, non è importante: quando vinci sulla barca e quando gira storta tutti a spiegare i motivi per cui la barca non va. Fa parte dello sport, però è il suo lato negativo. Se ne farebbe a meno».
Che cosa non può mancare invece? «La fiducia, quella serve per raggiungere i risultati: senza è impossibile. Noi atleti lavoriamo ogni giorno soli con noi stessi e con le persone che si dedicano a noi, con i nostri mezzi e i traguardi centrati o mancati li decide un centimetro, come è successo anche in Cina. Pinnock, il giamaicano mi è rimasto dietro per un solo centimetro. La fiducia è indispensabile».