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Nakata: «Il calcio non mi piace, ho giocato perché adoravo il manga Captain Tsubasa»

Il giapponese al New York Times: “Cambiavo il colore dei miei capelli ogni singolo giorno perché volevo giocare all’estero. Speravo di essere notato”

Nakata: «Il calcio non mi piace, ho giocato perché adoravo il manga Captain Tsubasa»
Mg Zurigo (Svizzera) 11/01/2015 - pallone d'Oro 2015 / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Hidetoshi Nakata

“Non mi piace il calcio e non ho mai sognato di diventare un calciatore, ma in qualche modo è successo”. E infatti poi Hidetoshi Nakata ha smesso a 29 anni, dopo una partita con il suo Giappone ai Mondiali 2006 in Germania. S’era scocciato. “Ho giocato i Mondiali e sono andato in Italia e in Inghilterra. Ho giocato tutto il tempo per passione. Non sono un fan del calcio, ma mi piace giocare a calcio”.

Nakata è sempre stato un personaggio molto originale. E l’intervista al New York Times/The Athletic lo conferma. “Amavo giocare, non allenare o commentare. Ecco perché dopo il ritiro ho detto: no, devo trovare un’altra passione'”.

In Giappone “a quel tempo, nessuno sognava di diventare un calciatore professionista. Lo sport numero 1 in Giappone era il baseball. Ma alla fine, ho adorato il manga Captain Tsubasa, quindi ho deciso di giocare a calcio. Cambiavo il colore dei miei capelli ogni singolo giorno perché volevo giocare all’estero. Speravo di essere notato”.

Nakata arrivò in Europa come ingaggiato dal Perugia. Fece una prima stagione eccezionale con 10 gol. “Se vieni in Giappone, puoi vedere quanto è diverso dall’Italia. I giapponesi sono puntuali, tutto è ordinato. Gli italiani sono più tipo, fa come ti pare. È stato un grande cambiamento ma il calcio era lo stesso. Il calcio è lo stesso in tutto il mondo. Non ero un fan del calcio, non lo guardavo né lo leggevo sui giornali, non sono quel tipo di persona“. 

“Quando sono arrivato in Italia, il campionato italiano era il migliore al mondo, c’erano giocatori come Zinedine Zidane e Alessandro Del Piero, ma non conoscevo molti giocatori. Non conoscevo nemmeno la metà delle squadre del campionato. Ma questo significava che potevo davvero concentrarmi sul mio gioco. Quella era la mia forza perché non avevo paura”.

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