ilNapolista

Per spiegare il calcio a un alieno basterebbe la gioia di Maradona nel riscaldamento pre-partita (El Paìs)

Il riscaldamento è l’arte della gioia: quando i giocatori sembrano ancora umani, e l’errore è solo un errore e non un fallimento

Per spiegare il calcio a un alieno basterebbe la gioia di Maradona nel riscaldamento pre-partita (El Paìs)

“Se la liturgia di una partita di calcio fosse la vita di una persona, potremmo dire che il riscaldamento è la cosa più vicina all’infanzia. Il momento delle interviste pre-partita potrebbe essere la gravidanza e l’uscita dei giocatori dallo spogliatoio il parto. A quel punto, gli atleti non hanno nemmeno nome o numero”. El Paìs dedica un pezzo al calcio dell’infanzia, appunto. Alla bellezza del riscaldamento. L’arte della gioia.

Ovviamente il richiamo ovvio, ma puntuale, non può non essere il riscaldamento di Maradona prima della semifinale di ritorno della Coppa Uefa contro il Bayern Monaco nel 1989. “Nessuno capiva il riscaldamento meglio di Maradona – scrive El Paìs – che lo praticava con gli scarpini slacciati. È ipnotico. Se dovessi spiegare il calcio a un alieno, dovresti ripetere a ripetizione quei quattro minuti in cui la palla passa da una spalla all’altra come se fosse telecomandata, atterra sui suoi riccioli o si adagia sul suo collo del piede come un gatto che si addormenta sul tuo petto”.

“È incredibile come continuiamo a chiamare gioco qualcosa di così serio come una partita di calcio – scrive David Exposito – Una volta che la palla comincia a rotolare, l’aspettativa di vittoria supera ogni intenzione di divertirsi. Anche coloro che si vantano che la cosa importante è giocare bene si arrabbiano e licenziano gli allenatori quando in realtà lo fanno, ma perdono. Tra tutte le professioni del mondo, se dovessi sceglierne una, sceglierei quella del calciatore di riscaldamento. Le cose sono sempre più belle prima che diventino serie”.

“Ecco perché non capisco perché gli stadi siano vuoti durante il riscaldamento dei giocatori. Quando eravamo under 12, a molti dei miei compagni di squadra piaceva sempre andare al campo dell’Alcorcón un’ora prima della partita per guardare i giocatori che correvano sull’erba. Fu in quel momento, quando meno ce lo si aspettava, che sembravano più umani, più liberi, più felici. Inventano palleggi, tiri impossibili o parate a bruciapelo. Sorridono. Perché l’errore era solo questo, un errore, e non andava oltre. Quando l’arbitro fischiava l’inizio della partita, non si trattava più di errori ma di fallimenti, non era più una partita di calcio ma di una vittoria o di una sconfitta”.

 

ilnapolista © riproduzione riservata