Se lo chiede il Paìs. Lui ha risposto così: “Ho ritenuto di non firmare la lettera perché voglio che altri giocatori si facciano avanti. Su alcune cose sono d’accordo, su altre no”

Da quando è stata annunciata la class action intentata dal sindacato dei tennisti PTPA contro i principali organi di governo del tennis mondiale, Novak Djokovic è rimasto zitto. Proprio lui che è di fatto il capo di quel sindacato. El Paìs giustamente si chiede: “Perchè non ha firmato quel documento?”.
Il serbo – scrive il giornale spagnolo – “sembra non volersi esporre questa volta alla ribalta”. L’ha detto lui stesso: “Ho ritenuto di non aver bisogno di firmare la lettera perché voglio che altri giocatori si facciano avanti. Sono nel comitato esecutivo, ma non ho alcun potere o influenza“. Come si dice in serbo “lancia la pietra e nasconde la mano”?
Il nome di Djokovic non figura tra i dodici firmatari della lettera inviata dalla Professional Tennis Players Association alle autorità degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell’Unione Europea. Ci sono in calce invece Nick Kyrgios, Anastasia Rodionova, Nicole Melichar-Martinez, Saisai Zheng, Sorana Cirstea, John Patrick Smith, Noah Rubin, Aldila Sutjiadi, Varvara Gracheva, Tennys Sandgren e Reilly Opelka.
Secondo Djokovic, “alcune delle parole” utilizzate nel testo “erano troppo forti”, anche se, a suo avviso, “il team legale sa cosa sta facendo e quale terminologia utilizzare per ottenere l’effetto desiderato”. E aggiunge: “Sinceramente, ci sono cose con cui sono d’accordo e altre con cui non sono d’accordo”.
Djokovic è entrato a far parte dell’Atp Player Council – il sindacato dei giocatori più istituzionale – nel 2008 e, dopo averlo lasciato nel 2010, vi è rientrato come presidente nel 2016. Poi nel 2020, ha creato la PTPA, che guida con il ceco Vasek Pospisil. L’associazione è sostenuta finanziariamente dal miliardario Bill Ackman, che ha pubblicamente sostenuto il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.