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Pizzul nella sua Cormons faceva le telecronache per i paesani, da Italia-Inghilterra alle partitelle all’oratorio

Su Repubblica. “Un’ombra silenziosa negli occhi? Solo quando, leggendo il Messaggero Veneto, scopriva che in redazione gli avevano limato il pezzo”

Pizzul nella sua Cormons faceva le telecronache per i paesani, da Italia-Inghilterra alle partitelle all’oratorio
Db Milano 29/12/2019 - trasmissione Tv 'Il campionato fa 90' / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Bruno Pizzul

Pizzul nella sua Cormons faceva le telecronache per i paesani, da Italia-Inghilterra alle partitelle all’oratorio

Il ricordo di Bruno Pizzul su Repubblica, a firma Giampaolo Visetti.

Ecco uno stralcio del reportage da Cormons paese Pizzul viveva.

Laureato in giurisprudenza, ha insegnato lettere alle medie di San Lorenzo Isontino e nel 1969 è entrato in Rai con regolare concorso. «Con lui — ricorda il figlio Fabio — c’erano Vespa, Frajese e Buttiglione. Siamo approdati nella Milano di Piazza Fontana e per 46 anni mamma e papà sono rimasti in affitto. Una follia, ma è la radice che nutre e risucchia ogni friulano».

Indimenticabili, qui, non le telecronache Rai diventate storia, ma quelle dal vivo fatte per i paesani: in piazza per la finale Italia-Inghilterra dell’Europeo, all’oratorio per le partitelle dei bambini, dietro le gostilne per le sfide a bocce tra coscritti. «Tra la sua gente — dice il sindaco Roberto Felcaro — non parlava di calcio, ma di vigne. Elegante e discreto, segnato dalla semplicità che lo costringeva a sentirsi imbarazzato dalla fama”». Un’ombra silenziosa negli occhi? Solo quando, leggendo il Messaggero Venetoper cui ha scritto fino a venti giorni fa, scopriva che in redazione gli avevano limato il pezzo. Gli amici ridevano e lui taceva. «Ciao Bruno — lo saluta Roberto Gajer, figlio dell’amico Antonio — nemmeno noi potremo più dire “ed è gol”. Però pensarlo sì e lo faremo sempre, sentendo ancora la tua voce, quando una palla va dentro». 

Pizzul: «Nelle scuole calcio non ci si diverte più, così Maradona avrebbe smesso di giocare»

Specchio intervista Bruno Pizzul. Il tema sono i Mondiali in Qatar.

«Questa del Qatar mi sembra un’edizione accettabile sul piano della qualità, anche se più per i singoli giocatori che per il gioco di squadra. Ci sono tanti, bravissimi talenti che fioriscono dappertutto, tranne che in Italia…».

Pizzul continua parlando di come sono cambiati i settori giovanili, con il passare degli anni.

«Per noi vecchi pallonari non è bello vedere i settori giovanili delle squadre invasi da ragazzi provenienti da altre realtà, un bene da un lato, un male dall’altro. Nelle scuole di calcio italiane non si divertono più: quando andavo all’estero vedevo i settori giovanili di Ajax e Barcellona, dove gli allenatori lasciavano che i ragazzi esprimessero estro e fantasia. Dalle nostre parti invece si fa più ginnastica che pallone, e quando giocano l’allenatore interviene ogni due secondi per correggerli. Forse Maradona a queste condizioni avrebbe smesso di giocare».

Pizzul parla anche di come sono cambiati i campioni, come Ronaldo. Fuoriclasse come CR7

«rappresentano l’incapacità di respirare il romanticismo del calcio. Si parla dei giocatori attuali attraverso il filtro dei social, mentre una volta c’erano rapporti più profondi e più veri anche con i giornalisti».

Racconta quali erano i suoi passatempi preferiti quando seguiva il calcio.

«Sono sempre stato amante delle carte e del bigliardo. Ci giocavo anche coi ragazzi del Milan, ricordo belle partite con Prati e Radice. Con Rocco invece giocavo a tressette “a non prendere”, ci si prendeva per i fondelli, del resto è un gioco aderente a Rocco, che era tutta una presa in giro. Il “Paron” era sorprendente per questo, i giocatori con lui non vedevano l’ora di allenarsi perché era un divertimento continuo».

Su Rivera:

«Era bravo a scopone scientifico, un altro modo per cui alla fine guadagnava in prestigio all’interno della squadra».

Pizzul ricorda la strage dell’Heysel: la finale Juventus-Liverpool del 1985 a Bruxelles. Era lì per fare la telecronaca.

«Dentro di me si è aperta una ferita, era inaccettabile che fossi costretto a raccontare di 39 morti. Avevo chiesto
alla Rai di non fare una telecronaca vera e propria, limitandomi a una descrizione asettica e impersonale. Da Roma mi dissero di non parlare delle vittime, ma l’errore dei miei capi fu lasciarmi la linea troppo a lungo, così ho dovuto barcamenarmi come potevo. Ricordo Boniperti che mi raccontò di essere corso sotto il Settore Z dell’Heysel subito dopo il crollo: qualcuno gli chiese “presidente, mi trovi un prete”, ma lui non riuscì a trovarlo».

Infine, un pensiero a quando all’estero guardavano storto l’Italia per il catenaccio.

«Nel 1973 il Milan vinse la Coppa delle Coppe battendo 1-0 il Leeds, gol di Chiarugi dopo cinque minuti e gli altri
85 minuti tutti a difendersi. Quando lasciai la mia postazione a fine partita dovetti passare davanti a tutti gli altri colleghi stranieri, e tutti mi applaudirono sarcasticamente. Poi dopo l’arrivo di Sacchi cominciarono a guardarci in un altro modo».

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