Al Giornale: «Mio padre ne misurò le radiazioni, lo strumento quasi scoppiava. Dalla finale persa col Liverpool ne siamo usciti grazie ad Ancelotti»

Il Giornale ha intervistato Andriy Shevchenko, ex attaccante del Milan, ex ct della nazionale ucraina e oggi presidente federale in Ucraina.
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Quando ha cominciato a giocare a pallone?
«A 9 anni sono entrato nel settore giovanile della Dynamo Kiev ed è stata una grandissima emozione. La realtà è che credo di essere nato con il pallone ai piedi, per ché prima di entrare a far parte ufficialmente di un club giocavo tutti i giorni con i miei amici. Ovunque. Un giorno ho calciato un pallone sul tetto di una casa, mi sono arrampicato per prenderlo. Mio padre – un ex militare – ha avvicinato a quel pallone uno strumento per misurare le radiazioni: quasi scoppiava. Da qualche ora era esploso il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl».
Mi racconti della trattativa con il Milan e poi dell’arrivo a Milano.
«Sembrava quasi un film. Giocavo nella Dynamo e agli allenamenti, a bordocampo, c’era sempre una persona che non conoscevo. Faceva finta di nulla, però mi accorgevo del fatto che era lì per me. Mi guardava, prendeva appunti. Era Rezo Chokhonelidze, mandato lì dal Milan per capire se fossi pronto per il campionato italiano. Poi un giorno è arrivato il diretto re sportivo del Milan, il grande Ariedo Braida. Mi regalò una maglia del Milan e mi disse una cosa che non dimenticherò mai: “Andriy, tu con questa maglia vincerai il Pallone d’Oro”».
Quell’ultimo rigore nella finale di Champions contro la Juve. Lei era molto teso. Prima di tirare guardò Ancelotti. Poi la palla, poi di nuovo Ancelotti, poi tirò. Aveva paura? E quando vide la palla entrare cosa provò?
«La verità è che non avevo paura. Continuavo a guardarmi intorno per cercare l’arbitro, non Ancelotti. C’era un enorme casino allo stadio, tantissimo rumore, e avevo paura di non sentire il suo fischio. Quindi lo guardavo in continuazione. Poi il fischio in effetti l’ho sentito, ho segnato il rigore decisivo, ho provato la gioia più grande della mia carriera da calciatore».
Mi racconti anche dell’inferno di Istanbul, quel 3-0 diventato 3-3, e lei se non ricordo male nei supplementari sbagliò un
gol…
«Mi ricordo la grande delusione, e un mese terribile dopo quella sconfitta. Molti compagni di squadra volevano smettere con il calcio, ritirarsi, interrompere lì la loro carriera. Ma da quella tremenda botta, grazie ad Ancelotti, siamo poi riusciti a tirare fuori il meglio, a prenderne la parte buona».