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Tilli: «Mennea si lavava pancera e maglia della salute. “Pietro, se entra una ragazza?” “Dille che sei con tuo nonno”»

Alla Gazzetta: «Mi voleva in stanza con sé. Era un metodico. Una persona spigolosa. Vittori mi obbligava a dormire fuori per non svegliarlo»

Tilli: «Mennea si lavava pancera e maglia della salute. “Pietro, se entra una ragazza?” “Dille che sei con tuo nonno”»
Italian athlete Pietro Mennea crosses the finish line in the men's 200m during the world Championship, on August 13, 1983, in Helsinki. AFP / LEHTIKUVA PHOTO (Photo by ILKKA RANTA / LEHTIKUVA / AFP)

L’ex velocista Stefano Tilli ha raccontato aneddoti su Pietro Mennea e gli atleti di oggi in un’intervista alla Gazzetta dello Sport.

Tilli: «Mennea era un fratello maggiore e un metodico»

Da ragazzo, era veloce o no?

«Avevo 17 anni, ho iniziato tardi. Ho fatto le prime esperienze scattando in una palestra di volley. Mi allenavo due volte alla settimana con Fabrizio Lepore. In un paio d’anni, trasferendomi alla Farnesina, ho vinto i Tricolori junior dei 60 indoor con 6”92».

L’esordio in Nazionale?

Tilli: «Febbraio 1983, in un Italia-Jugoslavia indoor a Genova, con Marco Montelatici capitano. Vinco i 60 in 6”68, record italiano di Pietro Mennea eguagliato. Il ct Enzo Rossi ci aveva visto giusto con me… Poco dopo, vinco gli Europei di Budapest e il primato diventa tutto mio».

Quando conobbe Mennea?

«Poco dopo, al mio primo raduno a Formia. Il professor Vittori, maestro di Pietro, mi vide fare skip: “Il piede deve salire tanto e rimbalzare a terra con veemenza” mi sgridò. “Prof, ci provo”. “Cosa? Non si va a tentativi, si fa e basta”. Resta un grande insegnamento: niente scuse o alibi. Me ne ricordo tutte le volte che sono in difficoltà».

Chi era Mennea per lei?

«Un fratello maggiore, un mito anche quando giocavo a calcio. Nei giorni di Mosca 1980 ero a Ischia: lasciavo gli amici in spiaggia, prendevo la Vespa e volavo a vederlo. La sua rimonta in finale mi ha cambiato la vita».

Qual era il suo segreto?

«La volontà: enorme. Balzi, pesi, salite, forza, esplosività, velocità di base: non primeggiava. Poi si andava in pista e… Il suo era un impegno ascetico».

Com’era nei rapporti personali?

«Con me generoso, con altri spigoloso. Quando vincemmo l’argento mondiale della 4×100 a Helsinki 1983, Simionato e Pavoni si offesero: i meriti furono attribuiti a Mennea che, in realtà, non fu un fulmine. Litigarono. E io a far da paciere».

È vero che Mennea la voleva in stanza con sé?

Tilli: «Anche a Helsinki: lavava pancera e maglia della salute di lana e le stendeva sul termosifone. Immaginate il profumo… “Pietro, se entra una ragazza?” “Dille che sei qui con tuo nonno”. Vittori una notte scoprì che ero fuori, appese un biglietto alla porta: per non svegliare Mennea, mi obbligava a dormire altrove. “Poi faremo i conti”. Pietro capì tutto: mi prese in giro per giorni. Pietro era metodico. La sveglia, i giornali con l’immancabile Sole 24 Ore, la colazione, i massaggi con Viscusi, la pista, il pranzo, il riposo, la seconda seduta, la cena, il letto. I suoi amici, più grandi e di altri mondi, non erano dei simpaticoni. Ma io lo divertivo. Ci siamo frequentati fino alla fine: mi ha sempre aiutato e un’estate, con la moglie, mi ha ospitato nella sua Pittulongu, in Sardegna».

Da dicembre è anche consulente del dt azzurro Antonio La Torre…

«Collaboro con la Fidal da tre anni, metto a disposizione la mia esperienza. Mi muovo sul territorio, intervengo dove serve. In queste ore, a Roma, comincia il raduno delle staffette. Mi avessero dato retta, Tortu ora non sarebbe un’incognita e Jacobs non sarebbe in Florida: era ovvio che i 200 erano un rischio. Ma attenzione: la 4×100 non può prescindere da Marcell. La spy story? Non entro nel merito, dico che per andar forte non serve essere amici. Me lo hanno insegnato Mennea, Pavoni e Simionato».

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