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Taveggia: «A Belgrado vidi l’arbitro di Stella Rossa-Milan con tre strafighe e un dirigente serbo. E capii»

L’intervista di Zazzaroni a Paolo Taveggia, storico “Mister Wolf” del grande Milan di Berlusconi e Sacchi. Stella Rossa-Milan vale un’intera carriera

Taveggia: «A Belgrado vidi l’arbitro di Stella Rossa-Milan con tre strafighe e un dirigente serbo. E capii»
1987 archivio Storico Image Sport / Milan / Ruud Gullit / foto Aic/Image Sport

Taveggia: «A Belgrado vidi l’arbitro di Stella Rossa-Milan con tre strafighe e un dirigente serbo. E capii»

Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport ha intervistato Paolo Taveggia. Che è stato molte cose, ma soprattutto il Mister Wolf del grande Milan di Berlusconi e Sacchi, con veloce e polemicissimo passaggio all’Inter di Moratti. L’intervista (ripresa da Dagospia) è zeppa di aneddoti incredibili, che raccontano un calcio – e un mondo – che non esistono più.

Il più bello è quello che riguarda Milan-Stella Rossa a Belgrado, Coppa dei Campioni 1988. All’andata 1-1, gol di Virdis. “Andiamo al Marakàna – racconta Taveggia – loro sono fortissimi. Stojkovic, Savicevic, Sabanadzovic, Ivanovic. Dopo il primo tempo capisco che non la vinciamo mai, lo stadio è un inferno. All’improvviso cala una nebbia fittissima e io penso: vuoi vedere che abbiamo acquistato delle macchine per produrla? Non si vede un cazzo. Ramaccioni mi costringe ad andare dal guardalinee per dirgli che la partita deve essere sospesa. Con la mia faccia di culo comincio a stalkerarlo. A un certo punto l’arbitro, Dieter Pauly, tedesco, decide di sospenderla chiarendo tuttavia che non si tratta di un rinvio. ‘Dobbiamo aspettare che si alzi’. Gli spogliatoi sono tre casette, una per gli ospiti, una più grande per la Stella Rossa e la terza per la terna e il delegato Uefa. Mi fermo nel giardinetto davanti alla nostra, in dieci minuti fumo quattro sigarette. Faccio l’errore di aprire la porta e vedo che i giocatori sono già tutti sotto la doccia, le maglie sporche buttate per terra, avevamo solo quelle. Il terrore. E adesso?“.

“Busso alla porta di Pauly e in un inglese stentato, volutamente stentato, confesso che mi sono sbagliato, non avevo capito e ho detto alla squadra che la partita è stata rinviata. La mia carriera nel calcio è finita, aggiungo, perderò il lavoro. Sembro John Belushi che si scusa con Carrie Fisher nei Blues Brothers. Mi guarda, ci pensa su un istante, dà un’occhiata fuori e la rinvia alle 13 del giorno dopo. Avverto tutti, sollevato, e mi metto a organizzare il pernottamento dei tifosi che hanno deciso di fermarsi. Rientrato in hotel, l’adrenalina a mille, non si dorme, chiedo a Guido Susini di accompagnarmi in centro. Ci facciamo dare l’indirizzo del pub più prestigioso di Belgrado e ci fermiamo davanti alla porta d’ingresso per un’altra sigaretta. Passano pochi minuti e vediamo arrivare una limousine tutta bianca, una Mercedes. Scendono tre ragazze pazzesche, l’arbitro e i guardalinee accompagnati da un dirigente della Stella Rossa. Incrocio lo sguardo di Pauly e lo saluto: ti ho visto e tu hai visto me”.

Il giovedì si rigioca, “e Pauly ci annulla un gol col pallone dentro di un metro e mezzo, andiamo ai rigori. Te la senti, non te la senti, tiri tu, tiro io, quello che finge di telefonare a casa alla fidanzata, insomma il quinto ad accettare è Cappellini, ha appena 17 anni. Savicevic sbaglia, se segniamo la partita è nostra. Vedo che al posto di Cappellini si presenta sul dischetto Rijkaard che non era nella lista dei cinque. Gol. Raggiungo Frank, gli faccio i complimenti e chiedo come mai all’ultimo abbia deciso di tirare, non essendo in lista. ‘Ho visto la faccia del ragazzo’ mi fa. ‘Se avesse sbagliato la sua carriera sarebbe finita lì, la mia no'”.

Altro episodio, stavolta all’Inter: la firma del contratto di Roberto Carlos: “Io entro in scena quando il contratto col Palmeiras è chiuso. Manca solo la firma del giocatore. Moratti mi manda a San Paolo, arrivo e mi dicono che Roberto Carlos è a Punta del Este con la Nazionale per la Coppa America. Non posso andarci in auto, telefono al presidente, aereo privato e sono in Uruguay. Raggiungo l’hotel del Brasile, è inaccessibile, quelli del Palmeiras mi avevano detto che Teixeira e Havelange si potevano convincere solo in un modo. Mi confondo con la torcida, Roberto Carlos si affaccia alla finestra della camera, mi faccio riconoscere, do 100 dollari a un cameriere che gli porta il contratto, lui firma e il cameriere me lo riporta“.

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