A Marca: “La sconfitta contro Draper mi ha fatto molto male. Quella sconfitta contro Goffin a Miami ha fatto traboccare il vaso. Mi sono ritrovato in vacanza, in Messico”

Ora che ha una docuserie tutta per lui – “Carlos Alcaraz: My Way”, in uscita su Netflix – Carlos Alcaraz è già nella fase “vi racconto il mio lato più intimo e personale”. Anche se non ha trovato il modo e il ritmo di competere con Sinner per il vertice del tennis mondiale, nonostante abbia già vinto quattro Slam.
Intervistato da Marca dice che “a Indian Wells pensavo di giocare bene e fuori dal campo ero abbastanza calmo. La sconfitta contro Draper mi ha fatto molto male. Poi sono arrivato a Miami e quella sconfitta contro Goffin è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dovevamo fermarci, sederci e vedere cosa stava succedendo. Quel momento mi è stato di grande aiuto. È dai momenti brutti che impariamo di più. Ho imparato soprattutto a concentrarmi su ciò che è importante. Ci sono molte cose a cui diamo importanza e forse in realtà non ne hanno nessuna. Ho detto cosa è veramente importante per me nel tennis e continuerò su questa strada. Alla fine, in quelle situazioni, pensi a molte cose e quando qualcosa che ti ha fatto male è così recente, non ci pensi mai in prospettiva. Mi vengono in mente un sacco di pensieri: fermati, fermati per una settimana, salta un torneo, fermati per diversi mesi, continua ad allenarti, prenditi una vacanza e poi allenati per quello che verrà… Mi vengono in mente un sacco di pensieri e una delle cose migliori che ho fatto è stata prendermi qualche giorno di pausa e darmi l’opportunità di pensare lucidamente, mettere le cose in prospettiva e, da lì, decidere”.
Racconta che mentre era in vacanza in Messico ha ritrovato la voglia. “Non dico che è stato lì che ho iniziato a vincere Monte Carlo, ma è vero che è stata una situazione che mi ha fatto riflettere. Per me è stato incredibile, mentre ero in vacanza, chiedere alla mia squadra di inviarmi un allenamento fisico, di mandarmi degli allenamenti, perché non volevo perdere la forma. Anche se ero lì da cinque giorni, volevo continuare ad allenarmi, ad andare in palestra, volevo prepararmi in modo che quando fossi tornato a casa avrei potuto allenarmi e che non sarebbe stato difficile per me iniziare. Negli ultimi giorni dicevo ai miei genitori e ad Albert (l’agente): “Voglio tornare a casa adesso”. E il mio fratellino ha detto che voleva restare ancora una settimana. Avevo bisogno di tornare a casa. Ed è stato in quel momento che ho capito che mi aveva fatto bene. Quando gioco con entusiasmo nei tornei, è allora che mi diverto davvero”.
Tornando a Sinner… “Credo che a me e a Zverev, in ogni conferenza stampa, dopo ogni partita, venisse posta qualche domanda sul fatto che Sinner non fosse lì e non avessi la possibilità di raggiungere il numero 1. È normale che lo chiedano, ma poi dipende da te come vuoi gestire la situazione. Come ti influenza avere questa cosa in mente. Alla fine ho cercato di non farci caso. Ma emotivamente o indirettamente, sono stato influenzato dal desiderio di raggiungere buoni risultati per arrivare lì. Ho imparato a concentrarmi su ciò che è importante e a impegnarmi per ottenerlo. E la classifica non è importante in questo momento.
“Credo che ci aspetti una bella lotta, con Jannik. Cerco di dare importanza a ciò che è veramente importante e per me non è la classifica. Stiamo cercando di togliere l’importanza della vittoria. La cosa più importante è divertirsi e, se perdo, uscire dal campo dicendo che sono sulla strada giusta, che ho fatto bene e che mi sono divertito. Da lì, andare avanti”.
Alcaraz dice che “da giovane” (manco avesse 50 anni…) la gestione della pressione è più facile: “Quando sei giovane, o nel mio caso più giovane, quando entri nel circuito tutto è molto nuovo. È un altro tipo di pressione. È la pressione di giocare con giocatori che hai visto in tv; la pressione di voler dimostrare al mondo di cosa sei capace. Penso che la pressione sia una cosa positiva, qualcosa per cui essere grati, perché ti aiuta a rimanere vigile e a dare il meglio di te. È un percorso molto più semplice. La pressione che sento adesso, sia per me stesso che per i giocatori che hanno già vinto qualcosa, è quella di voler rendere felici le persone, perché altrimenti ti daranno filo da torcere. Ed è questa la pressione che davvero non ci piace. Quando sei nuovo tutto è più facile”.
Ultima questione: la divisione dei premi in danaro: “Il tennis è uno sport ben pagato, ma può sempre essere migliorato perché c’è una percentuale che può essere aumentata per il circuito e per i giocatori. Se organizziamo uno spettacolo perché i tifosi possano divertirsi e paghino il biglietto, allora la percentuale deve essere simile a quella che meritiamo”.