Alla donn’Amalia di Eduardo preferirò sempre quella di Di Giacomo: Donn’Amalia ‘a Speranzella

POSTA NAPOLISTA - Al posto dell'indignazione da "Fujtevenne" e della fuga verso l'altrove igienista, ci resterei, anzi “mme menasse 'int' 'a tiella, donn'Amalia 'a speranzella”

donn'Amalia

Alla donn’Amalia di Eduardo preferirò sempre quella di Di Giacomo: Donn’Amalia ‘a Speranzella

Egregio Direttore, concordo pienamente con lei circa l’intelligenza di Mr. Conte e, soprattutto, il vero e proprio “miracolo” che sta compiendo (termine surreale che si addice, appunto, ai miracoli, seppur laici e pallonari); anche con la cattiveria di noi napoletani, siano essi ipocriti tifosi perdenti o diffidenti giornalisti poco sportivi; condivido persino la sua citazione eduardiana della perfida Donn’Amalia che, però, dovrà convenire, si potrebbe ritrovare, purtroppo, ovunque nel mondo (e non solo nelle opere teatrali, ahimé) e sempre in azione (ieri, oggi e domani) laddove regni l’ ingiustizia, la violenza, il disagio, ovvero la legge del più forte, offrendo così la possibilità a chi è più arrogante e senza scrupoli, di lucrare a danno dei più deboli, dei più fragili, di fare profitti sempre illeciti in barba a qualunque legge o morale e permettere in tal barbaro modo l’agognato “salto di classe” senza necessitare di alcuna ascensore o, ancor peggio, di adeguate conoscenze e pari possibilità.

Il problema è che abbiamo un “ma” (sì, ci sta, il ma, anche e soprattutto nella dimensione antropologica, quindi politica, da lei evidenziata), un ma che è sempre, per sua natura grammaticale, avversativo. Anche alla sua.

Mi riferisco a quel sottile, nn tanto, filo rosso che lega tutte le criticità da lei elencate, tipicamente napoletane, nei tratti precipui della Napoli borghese, dei suoi avidi rappresentanti, quelli che avrebbero dovuto dirigerci, storicamente fallimentari; quelli che sono ben abbarbicati nelle loro luminose alcove del Vomero, di Posillipo o di Chiaia e hanno fatto, fanno e faranno sempre il gioco delle tre carte, il “chiannere e fottere”; quelli che pur godendo dei loro privilegi, sono sempre così scandalizzati e indignati da gridare: “Fujtevenne”.

Alla avida, disumana ed aspirante piccolo borghese Donn’Amalia di Eduardo (il più grande drammaturgo del 900, insieme a Pirandello), preferirò sempre quella di Di Giacomo, giacché “Donn’Amalia ‘a Speranzella,
quanno frie paste crisciute,
mena ll’ oro ‘int’ ‘a tiella,
donn’Amalia ‘a Speranzella”, generosa come la sua obbligata untuosità, caratterizzata dal suo popolano buonismo (anzi, bonismo, direbbe Totò).
Concludendo, al posto di fuggire da qui, verso l’altrove igienista, ci resterei, anzi “mme menasse ‘int’ ‘a tiella,
donn’Amalia ‘a speranzella”.
Grazie, buon lavoro e continuate sempre così, critici fino alla fine che, nella vita, nn si smette mai di imparare.

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