Ma una cosa è la percezione e un’altra la realtà, anche nelle occasioni reali del Bologna. Conte però deve trovare alternative in questo finale

Più che la tattica poté l’intensità
Bologna-Napoli 1-1 è stata una di quelle partite in cui la tattica c’entra in maniera relativa. Più che dalle mosse strategiche degli allenatori, infatti, l’andamento della gara e il risultato si possono spiegare a partire dall’intensità di gioco manifestata dalle due squadre. Certo, naturalmente non si tratta di un parametro univoco e oggettivo. Ma la differenza tra primo e secondo tempo, di fatto, non si è determinata perché Conte e/o Italiano hanno fatto delle modifiche sostanziali al loro sistema.
La verità è che la squadra di casa, per tutta la ripresa, ha giocato manifestando un’energia spaventosa, praticamente incontenibile. Non ha concesso neanche un’azione manovrata, al Napoli. Che, da parte sua, ha denunciato i soliti problemi nel momento in cui abbassa il suo rendimento fisico: prevedibilità in fase di rifinitura e di costruzione, con conseguente difficoltà a venire fuori dalla morsa imposta dall’avversario. E la morsa e l’avversario, in questo caso, erano davvero di altissimo livello.
Sì, perché questo è un aspetto fondamentale: il Bologna di Italiano, almeno in questo momento, è una delle squadre migliori del campionato di Serie A. Forse la migliore in assoluto. Forse non per pura qualità dei singoli e per sofisticatezza del gioco offensivo, ma di certo per intensità e applicazione tattica. E allora il pareggio ottenuto dal Napoli deve essere letto e accolto come un risultato positivo. Certo, resta l’occasione sprecata dopo ciò che è successo all’Inter. Ma dal punto di vista tecnico, come dire, non c’è paragone tra il peso specifico dei pareggi ottenuti dalle due squadre in lotta per lo scudetto.
Conte e la gestione dell’emergenza
Anche perché, altro punto piuttosto significativo, il Napoli è sceso in campo a Bologna senza Alessandro Buongiorno. Si potrebbe/dovrebbe citare anche l’assenza di Meret, ma quella di Buongiorno è stata decisamente più difficile da fronteggiare. Soprattutto nella ripresa, quando ha dovuto fronteggiare le scariche ad alto voltaggio del Bologna, l’ex capitano del Torino avrebbe avuto un impatto molto più significativo rispetto a quello, comunque discreto, generato da Juan Jesus.
Insomma, Conte ha dovuto gestire un’altra emergenza. L’ennesima, viene da dire. E iinzialmente l’ha fatto bene, preparando la partita in modo da sfruttare i bug di sistema di un avversario sempre ambizioso, in tutte le fasi di gioco. Il Napoli è arrivato al Dall’Ara e ha ritrovato McTominay, schierato dal primo minuto accanto ad Anguissa e Lobotka. Difesa a quattro con Di Lorenzo-Rrahmani-Juan Jesus-Olivera e tridente “classico” con Politano, Lukaku e David Neres. A partire da questi uomini e dalle solite spaziature, quelle del 4-3-3, la squadra di Conte ha provato a risalire il campo in modo misto, alternando la costruzione dal basso e il lancio lungo in verticale. Il Bologna, schierato con il solito 4-2-3-1/4-4-2, ha cercato di alzare fin da subito i ritmi difensivi, creando dei duelli uomo su uomo a tutto campo.
Sei o anche sette uomini che vengono ad aggredire il Napoli fin dentro la sua metà campo, fin dentro la sua trequarti
Il Napoli non si è fatto né irretire né tantomeno impaurire: ha cercato insistentemente di far passare il gioco attraverso Lobotka (32 palloni giocati nel primo tempo, record tra tutti i giocatori in maglia azzurra) e poi ha cercato di verticalizzare per sfruttare gli spazi lasciati liberi dalle salite e dall’aggressività dei giocatori avversari. È esattamente così che si è determinato il gol del vantaggio segnato da Anguissa: il Bologna era tutto a pressare alto nella metà campo del Napoli, gli azzurri sembravano voler forzare l’impostazione coi difensori e poi invece la palla è stata lanciata lunga, in avanti, verso Lukaku. Il resto, come si dice, è storia:
Lectio magistralis: come attrarre la pressione alta degli avversari per poi sorprenderli in verticale
L’azione che vedete in questo video non è la prima e non è stata l’ultima costruita in questo modo: in diverse occasioni, almeno nel primo tempo, il Napoli è riuscito ad aprirsi il campo utilizzando questo meccanismo. Poi i giocatori di Conte sono stati imprecisi nell’ultimo passaggio, anche alcuni interventi dei difensori avversari (soprattutto di Holm) sono stati decisivi, ma in ogni caso i giochi offensivi preparati in settimana si sono rivelati efficaci. Come nel caso del tiro di McTominay al minuto 32, nato da una verticalizzazione di Rrahmani verso Di Lorenzo:
A volte, per superare il pressing avversario, basta un lancio lungo
Anche la fase difensiva del Napoli si è rivelata efficace: sempre nel primo tempo, nonostante abbia tenuto un possesso palla del 60%, il Bologna ha costruito un solo tiro nello specchio della porta. Che, per altro, è arrivato sugli sviluppi di un’azione d’angolo. Il resto delle conclusioni tentate (4) sono arrivate tutte da posizione velleitaria, e in ogni caso sono finite quasi tutte molto lontane dai pali difesi da Scuffet. Unica eccezione: il tiro a giro provato da Aebischer al terzo minuto di recupero. Dall’altra parte del campo, il Napoli ha tirato meno rispetto alla squadra di Italiano (4 conclusioni complessive), ma ha dato la sensazione di essere costantemente pericoloso. O comunque di poterlo essere in maniera più frequente. Nel secondo tempo, questa percezione è stata completamente cancellata. Anzi: è stata ribaltata.
Alta intensità
Come anticipato in precedenza, il secondo tempo non è iniziato e non si è svolto in un certo modo a causa di cambi tattici rilevanti. Molto più semplicemente, il Bologna è riuscito ad alzare ancora di più l’intensità già alta del suo sistema di gioco, in tutte le fasi. La risposta del Napoli non è stata una vera risposta, nel senso che la squadra di Conte non ha saputo reagire e controbattere a questo nuovo contesto, se non rinculando e abbassandosi in modo da (provare a) difendere il gol di vantaggio. Dal punto di vista puramente numerico e posizionale, questa situazione si evince chiaramente dall’altezza del baricentro tenuto dalle due squadre: tra primo e secondo tempo, il Bologna è avanzato di otto metri. Lo stesso balzo fatto dal Napoli, però all’indietro:
Un’immagine eloquente
Scegliere di giocare in un certo modo non è ideologia, o quantomeno non è solo ideologia. Nel caso del Bologna e del Napoli, sulle scelte di Italiano e di Conte hanno pesato caratteristiche come l’energia, l’età, la fisicità dei giocatori. Nel senso: il Bologna ieri sera aveva Odgaard e non McTominay, Dallinga e non Lukaku, Aebischer e non Anguissa. Le differenze – anagrafiche, antropometriche, quindi tattiche – tra questi giocatori hanno determinato l’atteggiamento delle rispettive squadre. Poi naturalmente anche gli allenatori ci mettono e ci hanno messo del loro, non c’è bisogno di ricordare come il gioco preferito/predicato da Italiano sia fondato proprio sulla riaggressione alta, sullo sfruttamento intensivo delle corsie laterali. Quello di Conte, invece, è legato più a un’idea di gestione delle energie, di lettura dei momenti della partita.
Una strategia non è ontologicamente superiore a un’altra, ma nel secondo tempo di Bologna-Napoli abbiamo potuto apprezzare come la squadra di Italiano abbia saputo comandare la partita esasperando la sua identità. Fino a neutralizzare i suoi avversari. I dati, in questo senso, sono più che indicativi: il possesso palla dei rossoblu è salito fino al 63%, i tiri tentati sono stati 6 contro 2, e i 2 del Napoli sono arrivati nella stessa azione, l’ultima della partita. Come se questi non bastassero, ci sarebbero i cross tentati (24-2), i passaggi in avanti (142-92), i palloni serviti nell’ultimo terzo di campo (121-23).
Eppure il Napoli non ha concesso molto
Sembrano i numeri di una carneficina tattica, lo sono, ma la stessa enorme distanza non si manifesta nei numeri reali, quelli delle vere occasioni da gol. Come detto, il Bologna ha messo insieme soltanto 6 tiri. E solo 2 di questi sono entrati nello specchio, ovvero il tacco (bellissimo, certo, ma anche fortunato) di Ndoye e il colpo di testa di Holm che Scuffet ha smanacciato sui piedi di Castro al minuto 89′. Certo, l’attaccante argentino ha sbagliato il tap-in a circa 15 centimetri dalla linea di porta, anche quella può e deve essere considerata come una grande opportunità. Ma alla fine, numeri alla mano, viene fuori che il Napoli brutto e molle del secondo tempo ha concesso pochissime occasioni da gol. Anche le 2 conclusioni finite fuori, tentate da Freuler e Dallinga, sono finite molto fuori.
Il gol del Bologna
Come si vede chiaramente nel video appena sopra, il gol di Ndoye non è da “addebitare” a un errore e/o al baricentro troppo basso tenuto dal Napoli. Semplicemente, l’imbucata geniale di Miranda, la sovrapposizione di Odgaard e il taglio a centro area di Ndoye sono stati davvero perfetti. Sia dal punto di vista del sincronismo che della pura qualità. Lo stesso colpo di tacco dell’attaccante svizzero è un’intuizione di grande impatto scenico. Certo, magari Juan Jesus poteva marcare in modo più stretto, senza perdere il contatto fisico con l’avversario. Ma la velocità del cross e la parità numerica a centro area hanno costretto il centrale brasiliano a fare una scelta. Non gli è andata bene.
Il punto, però, sta nel fatto che il Bologna ha portato molti uomini dentro l’area del Napoli. E che, prima del cross decisivo, ha mosso la palla in modo veloce e imprevedibile. Ovvero le cose che non sono riuscite alla squadra di Conte per tutta la ripresa. Anche in questo senso ci sono dei numeri molto significativi: Lobotka è sceso da 32 a 20 palloni giocati, con Olivera che è arrivato addirittura a quota 38. Lukaku, invece, non è andato oltre i 7 palloni giocati. E il vero problema è la porzione di campo in cui ha effettuato questi tocchi:
Uno dei tocchi, tra l’altro, è stato quello in occasione del calcio d’inizio dopo il gol di Ndoye
È chiaro, lo abbiamo detto: un rifornimento di palloni così scarso è legato a una mancanza di meccanismi in grado di superare il pressing del Bologna. Ma è vero pure che vanno sottolineati anche i meriti di chi ha fatto bene, non solo le colpe di chi ha fatto male. Nel caso di Bologna-Napoli, la squadra di Italiano ha dimostrato di avere più energie, di avere idee chiare, ma anche – e soprattutto – dei giocatori in grado di interpretare al meglio le direttive del loro allenatore. Nel caso dei duelli individuali con Lukaku, sia Beukema che Lucumí si sono dimostrati quasi sempre all’altezza della situazione – l’olandese difendendo più di concetto e di posizione, il colombiano sfruttando la prestanza fisica. Stesso discorso per Holm, avversario diretto di un David Neres apparso in difficoltà.
Anche su questo ci sarebbe da riflettere: Neres e Politano hanno giocato in modo generoso, ma di fatto non hanno offerto alcun contributo creativo. Anzi, l’unico passaggio chiave su azione dinamica messo insieme dai due esterni del Napoli, quello servito da Neres in occasione del tiro di McTominay alla mezz’ora, deve essere considerato più come il frutto di un errore che una vera giocata qualitativa – Neres forse avrebbe potuto calciare verso la porta.
Una squadra come il Napoli, che tende a contrarsi e ad abbassarsi per difendere il risultato, ha bisogno di calciatori in grado di essere decisivi quando ne hanno l’opportunità. In questo senso, almeno a Bologna, Conte non ha avuto indicazioni positive dai suoi laterali offensivi. E gli ingressi di Raspadori e Ngonge, per usare un eufemismo, non hanno portato a un reale cambiamento della situazione.
Conclusioni
Il Napoli viene via da Bologna con un pareggio interlocutorio, che di certo lascia più interrogativi che certezze. Allo stesso tempo, però, c’è un’altra prospettiva da cui guardare la partita del Dall’Ara: la squadra di Conte, costretta a fronteggiare diverse assenze, ha pareggiato contro un’avversaria reduce da una striscia di dieci vittorie, un pareggio e una sconfitta nelle ultime 12 gare giocate tra campionato e Coppa Italia. Un’avversaria che ha dimostrato, una volta di più di meritare il quarto posto in classifica, sia per doti tecniche che per la qualità della proposta di gioco. E che, cosa più importante, corre e muove la palla ad alta intensità per tutti i 90 minuti.
Di certo lo fa per più tempo rispetto al Napoli, ed è su questo che bisogna interrogarsi. La squadra di Conte non “dura un tempo” a livello fisico, ma fatica a giocare in modo fluido quando smette di governare le partite dal punto di vista atletico. Quando gli avversari trovano le contromosse per arginare la manovra degli azzurri e diventano più ambiziosi in fase offensiva. È successo col Milan, è successo di nuovo a Bologna.
Se Conte e i suoi uomini vorranno dar fastidio all’Inter fino al termine del campionato, non potrà più succedere: la qualità delle prossime avversarie e il numero sempre più ristretto di partite non concedono margini d’errore. Serve un ultimo sforzo, uno sforzo che questa squadra ha già dimostrato di poter fare. Ma servirà anche trovare delle alternative che vadano oltre quanto abbiamo visto tra febbraio e marzo. Anche Conte, insomma, dovrà dare gli ultimi impulsi per non lasciare nulla di intentato. Si è meritato di essere a ridosso dell’Inter a inizio aprile, sarebbe un peccato fermarsi proprio adesso.