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Brambati: «Ai tempi ci davano il Micoren come caramelle. Cucchi aveva un neo, divenne un tumore terribile»

Alla Gazzetta: «Lo aveva alla gamba, per un infortunio la mandarono a fare gli ultrasuoni. Costanzo mi diceva che avrei dovuto fare tv. Maradona? Quanto l’ho menato»

Brambati: «Ai tempi ci davano il Micoren come caramelle. Cucchi aveva un neo, divenne un tumore terribile»
Db Milano 03/06/2013 - assemblea ordinaria Lega serie A / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Massimo Brambati

L’ex calciatore Massimo Brambati alla Gazzetta dello Sport racconta il motivo per cui saltò il suo trasferimento alla Sampdoria e un aneddoto legato a Diego Armando Maradona.

Brambati: «Ai tempi ci davano il Micoren come caramelle. Cucchi aveva un neo, con gli ultrasuoni divenne un tumore terribile»

Brambati, nell’estate del 1991 lei stava per passare alla Samp campione d’Italia. Avrebbe giocato in Coppa dei Campioni:

«Mi voleva Gianluca Vialli, ci conoscevamo dai tempi della Nazionale Militare. Anni fa, Luca Pellegrini, che della Samp scudetto era il capitano, mi raccontò che Roberto Mancini chiese a Vialli: “Scusa Luca, tu, con Brambati, vuoi prendere un calciatore o un comico?”. L’affare saltò».

Rimpiange di essere andato da Costanzo?

«Assolutamente no. Forse mi pento di non aver seguito un consiglio di Maurizio: mi disse che in tv funzionavo e che avrei dovuto lasciare il calcio per lo schermo, ma avevo 25-26 anni e volevo giocare. A Costanzo sarò grato per sempre, mi ha insegnato a stare in tv, cosa che mi è servita per le varie trasmissioni a cui ho partecipato, tra reti nazionali e private. Quando è morto, ho mandato un messaggio a sua moglie, Maria De Filippi, e la risposta di Maria ancora mi commuove».

Nel 1984, il 18enne Brambati passa al Torino…

«Di recente a Torino sono andato a rivedere il pensionato in cui vivevo. Il debutto in Serie A nel 1986, Torino-Milan 2-0, Gigi Radice che mi fa entrare al posto del grande Junior. Una volta, in allenamento, provavamo i cambi di gioco da una fascia all’altra e venni abbinato a Junior. Lui da 40-50 metri mi serviva la palla sui piedi. Io no, gliela lanciavo sbilenca, a metri di distanza. Così prese un fazzoletto e lo sventolò: “Ehi, Briegel, io sto aqui!”. Radice – di cui facevo l’imitazione in spogliatoio, e lui si divertiva – mi chiamava Briegel perché diceva che gli ricordavo il tedesco del Verona. Il Toro mi è rimasto dentro e ai tifosi dico che il presidente Cairo ha salvato la società e la tiene in Serie A a buoni livelli. Il calcio è complicato e Cairo è un imprenditore di successo. Non so in quale serie giocherebbe il Toro, senza Cairo».

Maradona, Platini, Baggio, Rummenigge, Van Basten, Gullit… In quegli anni, tra Toro, Empoli e Bari, lei ha marcato una batteria di fenomeni:

«Tutti grandissimi, ma Maradona apparteneva a un’altra galassia. Quanto l’ho menato. Vi racconto questa. Partita d’addio di Ciro Ferrara, a Napoli. Faccio parte dell’organizzazione e sono nel tunnel dello stadio quando arriva Diego, circondato da un gruppo di persone. Mi vede, si fa largo, mi abbraccia e io, senza volerlo, per l’emozione gli pesto un piede. Lui: “C…., Massimo, mi picchi anche qui?”. Era un calcio più umano».

Anno 1996, muore il suo grande amico e compagno Enrico Cucchi (a trent’anni per un melanoma, ndr) e lei racconta che al funerale tanti giocatori parlavano di rigori e di mercato…

«Più che altro mi sembrava che fossero lì perché dovevano. Il dramma di Enrico l’ho vissuto da vicino. Eravamo stati compagni di camera sia all’Empoli sia al Bari. Aveva un neo su una gamba e un giorno, per un infortunio, lo mandarono a fare degli ultrasuoni proprio su quella parte lì. Il neo crebbe, si trasformò, diventò un tumore terribile. E ricordo la tragedia di Massimiliano Catena (scomparso in un incidente stradale vicino a Cosenza nel 1992, ndr). Eravamo giovani e calciatori, ci sentivamo invincibili, eppure si moriva. Cucchi, un centrocampista forte, mi raccontava che nell’Inter aveva segnato un gol con le scarpe da sformare che gli aveva dato Rummenigge, uno dei miei idoli da interista».

Il caso Cucchi ci rimanda all’abuso di farmaci:

«Ci davano le pasticche di Micoren come se fossero state caramelle: per migliorare la respirazione, dicevano. In un club, un’altra pastiglia: per aumentare i riflessi, spiegavano».

Che cosa fa oggi nella vita?

«Sono un procuratore e collaboro con Alessandro Moggi, ma la mia vera attività è la gestione del patrimonio che mi ha lasciato mio padre Giancarlo, proprietario di un’azienda che faceva cancelleria per le grandi aziende. In questi giorni sono a Miami, a curare i miei interessi negli Stati Uniti».

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