Dal Corsport. Basta chiedere a Benitez e Ancelotti. Napoli è anche cattiva, come testimoniavano alcuni personaggi di Eduardo prima che arrivasse il popolo d’amore di De Crescenzo

Conte ha capito perfettamente l’ambiente, la frase sul tifoso del Napoli che sa essere cattivo è eduardiana
Pubblichiamo un estratto dell’ampio ritratto di Antonio Conte (“Conte è Doctor House”) scritto da Massimiliano Gallo per il Corriere dello Sport.
I giornalisti non lo amano, a giudicare dai commenti che abbiamo letto e ascoltato dopo le sue ultime esternazioni. A noi sembra surreale discutere se quello di Napoli sia un miracolo oppure no. Chiamatelo come vi pare, è una grande impresa. Grandissima. Nessun altro, nelle stesse condizioni, sarebbe in testa a pari punti a cinque giornate dal termine. Questo non significa che il Napoli sia un club di Serie B. Ma ci sarà un motivo se De Laurentiis gli paga uno stipendio che – per distacco – è il più alto rispetto a tutti gli altri allenatori avuti a busta paga (Ancelotti compreso). E se ha speso 150 milioni per il mercato estivo. Lo ha fatto perché sapeva che era l’unica cura possibile. E che avrebbe funzionato. Dettaglio non proprio irrilevante per chi fa impresa.
Conte ha “pittato” la tifoseria del Napoli
Conte è anche uno che si guarda intorno, che annusa l’aria, che capisce l’ambiente in cui si trova. Da giorni a Napoli si discute delle sue parole: «Il tifoso del Napoli, se non vince, sa essere anche cattivo». Frase che dimostra l’intelligenza scugnizza dell’uomo che ha compreso perfettamente la città. Come nessun altro prima di lui. Chiedete al chiattone Benitez (così lo chiamavano), o ad Ancelotti che era bollito ed era arrivato a Napoli a prendere la pensione e a sistemare il figlio. Le parole di Conte possiamo definirle eduardiane, nel senso di De Filippo i cui personaggi erano napoletani anche cattivi, cattivissimi, come finisce con l’essere Donn’Amalia che in “Napoli milionaria” gestisce il mercato nero dei farmaci e lucra sui bambini in fin di vita. Prima che la panzana della città dell’amore – di decrescenziana memoria – gettasse una definitiva colata di molle ipocrisia sulla città e sui suoi abitanti. Il monologo in conferenza stampa è un trattato di antropologia culturale, nonostante i fisiologici picchi egotici.