Caro Salvatore, rimango un tifoso del Napoli c’è poco da fare e lo seguo in incognito. Ti ricordi quando paragonavano Neres a Kvaratskhelia?

Le penultime lettere di Mario Rui, n. 1
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Caro Salvatore,
Come stai? Sei mai stato al Dall’Ara di lunedì sera? Certe volte può fare davvero freddo anche se è aprile. Io mi ero coperto bene, un po’ per ripararmi e un poco per non dare nell’occhio. Capirai bene che da quando ho deciso di continuare a seguire il Napoli e, in generale, il campionato italiano, preferisco che non mi si riconosca, non vorrei sembrare uno che si interessi di questioni che non lo riguardano più. O, peggio ancora, come diceva una mia vicina di casa a Napoli, ‘na ciucciuettola ‘e male augurio. Ho deciso di scrivere a te e ad altri amici ogni tanto per non restare sempre ingabbiato alla brevità (e alla fragilità) da whatsapp, alle faccine. Ma ti sembro uno da emoticon, io?
Rimango un tifoso del Napoli c’è poco da fare e come tale mi comporto. Mi trattengo dall’andare in curva con gli ultras – anche se so che sarei bene accolto – e preferisco la riservatezza della tribuna, anche perché, diciamocelo, io voglio vedere bene la partita. Mi emoziono quando la fascia sinistra del Napoli è dal mio lato. Ieri sera, a denti stretti, dicevo «Vai Mati, vai Mati». Mi dirai e perché a Neres non dicevi niente? Certo, anche lui va incoraggiato, ma non ho confidenza, l’ho conosciuto poco, e allora riservo a lui dei vai o forza generici. Riconosco che ieri sera ne avrebbe meritato qualcuno in più, mi è sembrato spento, anche un pochino confusionario. Neres è un buon giocatore ma mi sono trovato a sorridere quando ho letto di qualcuno che lo paragonava a Kvara, o addirittura sostenendo che era migliore. Anche nel tuo bar, Salvato’, ti ricordi? Soprattutto Pasquale, il figlio di Luigi, il tabaccaio di Materdei, insisteva, insisteva. C’è stato un giorno che quasi stavamo litigando, vabbè.
A volte mi domando se quest’anno, almeno solo quest’anno, avrei potuto essere d’aiuto, magari sì, mi rispondo, in qualche occasione, in qualche partita sì. Non ero molto distante dal mister Conte, dalla sua posizione da squalificato. Ogni tanto lo osservavo, me lo aspettavo più arrabbiato nel secondo tempo, ma forse lui aveva calcolato il possibile pareggio – il Bologna sta giocando benissimo in questo periodo – e allora lo aveva rubricato, stava già guardando avanti. A fine partita avrei voluto salutarlo, ma ho preferito di no, mi conosci. Non voglio che mi si pensi assillante. Insistente voglio esserlo solo in campo, solo quando gioco e chissà se e quando ricapiterà.
Crossami la vita, lo hanno scritto su una maglietta che mi hanno dedicato. Sapessero tutte le volte che hanno crossato la mia, le volte che mi hanno fatto sentire uno di loro. Mi piace molto Orsolini, tiene pure una faccia simpatica, ma il problema del Napoli nel secondo tempo di ieri è stato tutto il Bologna. Salvato’, non abbiamo toccato palla, mai. Mi si torcevano le budella. Eppure, avremmo potuto chiudere il primo tempo 2-0. Che gol ha fatto Zambo, che azione stupenda, che meraviglia, che giocatore e che amico. Mannaggia, Salvato’, non mi voglio commuovere.
Tu che dici, il Napoli lo può vincere lo scudetto? Tre punti sono pochi e sono assai, l’Inter mi pare in flessione, ma pure noi non scherziamo, qual è, ti chiedo, il problema dei secondi tempi? Un signore di Bologna seduto vicino a me ieri sera – no, non era Gianni Morandi o gli avrei chiesto l’autografo – mi ha detto: «Non le pare che il Napoli nei secondi tempi trovi una specie di frontiera invalicabile nel centrocampo avversario? Come se ci fosse una dogana e i calciatori azzurri non avessero i passaporti. O, peggio ancora, come se qualcuno avesse applicato un dazio sui lanci in profondità, sui tiri in porta, sui dribbling, sui triangoli. Oh, buon per noi, ma è strano». Gli ho fatto cenno di sì con la testa, mi sa che il tifoso del Bologna non ha torto e, comunque, mi è risultato simpatico. Non mi ha riconosciuto, meglio. Ho imprecato al pareggio del Bologna, comunque meritato, e se avesse vinto, dopo quel secondo tempo, non avrei avuto niente da dire. A un certo punto, un lampo, un retropensiero che ho subito scacciato. Io con la mia maglia azzurra addosso che all’ultimo minuto faccio un cross perfetto per la testa di Lukaku che segna. Eh, lo so, non cresciamo mai, restiamo nel cortile, dove eravamo i più forti di tutti, e lo era ognuno di noi. Quando mancavano tre minuti alla fine della partita me ne sono andato, mi sono lasciato lo stadio alle spalle e sono salito in macchina, era tempo di tornare a casa. Ti abbraccio e ti scrivo presto.
Tuo Mario.