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Mertens: «A Napoli il calcio è religione, mia moglie era un po’ contraria a chiamare nostro figlio Ciro»

Al podcast di Obi Mikel: «Squadra più ostica affrontata? La Juventus, senza dubbio. Avevano esperienza, giocatori tosti. Osimhen è nella top 3 degli attaccanti mondiali, deve solo continuare a credere in se stesso».

Mertens: «A Napoli il calcio è religione, mia moglie era un po’ contraria a chiamare nostro figlio Ciro»
Db Verona 12/01/2014 - campionato di calcio serie A / Verona-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Dries Mertens

Dries Mertens è stato ospite al podcast di Obi Mikel “Obi One Podcast” in cui ha parlato del suo legame con Napoli.

Mertens: «A Napoli il calcio è religione, il gioco di Sarri era spettacolare»

«Mio figlio si chiama Ciro, un nome tipicamente napoletano. Ho trascorso nove anni a Napoli, e lui è nato proprio durante l’ultima stagione. Sapendo che presto me ne sarei andato, ho voluto dargli quel nome per portarmi dietro per sempre un pezzo di quella città. All’inizio mia moglie Kat era un po’ contraria, ma poi ha cambiato idea. Anche lei ha voluto conservare per sempre il ricordo di questa splendida avventura».

Ha parlato delle differenze tra Italia e Turchia:

«Il Galatasaray è un club di fama mondiale. Rispetto a Napoli, la Turchia ha una presenza globale maggiore per numero di persone. A Napoli il calcio è una religione, ma per capire davvero quanto sia importante bisogna conoscere la loro storia. Maradona ha cambiato tutto: ha portato il primo scudetto in una città del Sud, quando sembrava impossibile competere con il Nord».

Ha aggiunto:

«Ho lasciato Napoli e l’anno dopo hanno vinto lo scudetto. Però abbiamo fatto un percorso bellissimo anche in Champions negli anni passati. La vittoria con Spalletti è stata il coronamento, con Osimhen e Kvaratskhelia protagonisti assoluti».

Mertens ha rivissuto i momenti chiave della sua storia col Napoli:

«Diventare il miglior marcatore della storia del Napoli è stato incredibile. Quando arrivai, partivo spesso dalla panchina. Poi iniziai a segnare, fare assist… non ero mai stato un vero centravanti. Poi Higuain andò via, Milik si infortunò e Sarri mi disse: “Adesso giochi da attaccante”. Quella stagione fu la più importante: 35 gol, una cosa che non mi sarei mai aspettato».

Su Sarri ha commentato:

«Il suo gioco era spettacolare, il famoso ‘Sarri-ball’. Da attaccante tornavo indietro, risalivo il campo… sembrava che il pallone ti cercasse da solo per metterlo in rete».

La squadra più ostica affrontata:

«La Juventus, senza dubbio. Avevano esperienza, giocatori tosti come Chiellini, Tevez, Bonucci. Noi giocavamo bene, facevamo punti, ma loro riuscivano comunque a vincere. Arrivammo a 91 punti, record per il Napoli, eppure lo scudetto lo vinsero loro».

Infine, ha aggiunto:

«Il mio gol più bello? Il cucchiaio contro il Torino, indimenticabile. Le emozioni dopo quel gol sono ancora vive. Osimhen? Oggi è nella top 3 degli attaccanti mondiali. Apre spazi, aiuta i compagni, deve solo continuare a credere in se stesso. Gli voglio bene, siamo vicini anche a Istanbul e i nostri figli sono grandi amici. Qui la vita è più tranquilla, forse per lui è anche meglio che a Napoli: più relax, meno pressioni».

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