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Questo Napoli è l’anti-retorica. Tra De Laurentiis e Conte è business: Adl ha investito e ha comprato il meglio

Da Napoli una lezione di capitalismo e professionismo. Entrambi lo hanno fatto per interessi individuali ed entrambi ci hanno guadagnato. Qualsiasi sarà l’epilogo del campionato

Questo Napoli è l’anti-retorica. Tra De Laurentiis e Conte è business: Adl ha investito e ha comprato il meglio

Questo Napoli è l’anti-retorica. Tra De Laurentiis e Conte è business: Adl ha speso e ha comprato il meglio

Da qualche settimana è cominciata la disfida dei meriti della stagione del Napoli. È merito più di Conte o più di De Laurentiis? Un balletto che – notiamo – tiene banco anche fuori città. Oggi ad esempio abbiamo ascoltato su Repubblica Sandro Piccinini (cui Conte non deve stare simpaticissimo) dire che «McTominay è il nuovo eroe. Probabilmente grazie a lui la vicenda di Kvaratskhelia a gennaio verrà finalmente dimenticata e magari ora Conte riconoscerà i meriti della società che evidentemente non ha spesso male i suoi 150 milioni». Il titolo della sua rubrica di oggi è “Conte ringrazierà mai De Laurentiis?”

La considerazione ci offre lo spunto per una riflessione. E cioè che questo Napoli, e quindi anche la natura del rapporto tra Conte e De Laurentiis, incarna l’anti-retorica. È il perfetto antidoto a quella melassa di insopportabile ipocrisia che da sempre avvolge la città di Napoli. Nella narrazione fumettistica tutto ruota attorno all’amore, alla passione, all’unicità della città e dei suoi abitanti. La realtà, per fortuna, è un’altra. La realtà è che dopo una stagione di bagordi (soprattutto presidenziali) e dopo un ventennio in cui invece De Laurentiis ha dispensato lezioni di economia gestionale al calcio italiano, il presidente del Napoli ha avuta la lucidità di stravolgere la propria politica aziendale. Lo ha fatto, ovviamente, per interessi personali e aziendali (vivaddio).

Ha capito che il Napoli si sarebbe dovuto risollevare il più rapidamente possibile e si è comportato come si comportano i capitalisti che hanno il grano. Ha chiesto in giro, si è informato. Chi è il migliore a riportare in alto squadre reduci da un disastro? Antonio Conte, gli hanno risposto. Bene, quanto costa? E ha speso. Tanto. Tantissimo. È andato sul mercato e ha pagato. Caro, molto caro: nessuno a Napoli si è mai nemmeno avvicinato ai 6,5 milioni netti associati a Conte. De Laurentiis ha comprato la bravura di Antonio Conte, se ci passate il termine la sua professionalità maniacale, in sostanza la sua straordinaria capacità di far ripartire un gruppo e anche un’azienda allo sbando. Ha comprato la bravura nella gestione della squadra. E ha comprato anche il background di Conte. Il suo vissuto. La sua capacità di fronteggiare i momenti agonisticamente delicati. Si è messo in casa uno juventino orgogliosamente manifesto di esserlo. Perché anche la sua juventinità serviva, la sua capacità di guidare la carovana quando spesso a queste latitudini veniva il braccino.

Così si comporta un imprenditore vertical. Il Napoli è lì a giocarsi lo scudetto con l’Inter grazie a una decisione puramente capitalistica. Per una strategia di politica aziendale. Che sta pagando e che in ogni caso ha già pagato, in qualsiasi modo dovesse finire il campionato. De Laurentiis non ha speso 150 milioni in estate per accontentare Conte. Ha investito 150 milioni – rischiando in proprio e mettendo in qualche modo a rischio il progetto Napoli, è bene ribadirlo – perché erano necessari per raggiungere l’obiettivo aziendale: la rinascita immediata del Napoli. Ha “comprato” il migliore (anche un grande rompiglioni, questo lo sapevano pure le pietre) proprio per questo. È la legge del business.

Conte non deve ringraziare De Laurentiis per l’acquisto di McTominay (abbiamo forti dubbi che a suggerire il suo nome siano stati altri da Conte). Non gli ha fatto una cortesia personale. Anche il tecnico ovviamente aveva i suoi interessi ad accettare Napoli. In questo calcio lunare in cui gli expected goals e il possesso palla sembra che contino più del risultato, un allenatore come lui era incredibilmente finito ai margini. Era fermo da oltre un anno. Club come Milan e Juventus non hanno avuto il coraggio di puntare su di lui. Lui ha accettato Napoli non per fare un piacere alla famiglia De Laurentiis (come ha detto) ma perché sapeva (consapevole delle proprie qualità) che da Napoli, con adeguati investimenti, si sarebbe potuto ri-proiettare al centro della scena calcistica non solo italiana. Non dimentichiamo che Spalletti (pure lui era precipitato in un cono d’ombra) dopo Napoli è diventato ct della Nazionale. Anche Conte ha investito. Su di sé. Sul suo lavoro. Ma anche sugli uomini che è andato ad allenare (quelli che c’erano e quelli che – grazie a lui – sono arrivati). Si chiama professionismo.

Al di là dell’esito finale – ribadiamo: il campionato è tutt’altro che finito -, De Laurentiis e Conte hanno già vinto. Hanno già raggiunto i loro obiettivi. Il Napoli si è rimesso in sesto. Tanto rapidamente da consentire a gennaio la cessione del pezzo pregiato Kvaratskhelia. Incassando così la metà dei 150 milioni spesi in estate effettivamente a fronte di alcuna cessione. E Conte è tornato a essere l’allenatore giustamente ambito nonostante sia accompagnato dalla fama di alzare continuamente l’asticella (l’abbiamo detta in maniera urbana). Fuori Napoli (in città le proporzioni sono diverse) sono davvero pochi quelli che attribuirebbero a lui la mancata conquista dello scudetto.

Conte e De Laurentiis si sono reciprocamente aiutati. E lo hanno fatto nel modo più limpido possibile. Con un contratto di lavoro. E tanti soldi. Così funziona nel mondo degli affari e del professionismo. Tutto questo è accaduto a Napoli dove ogni tre per due siamo costretti a sorbirci la solfa di chi resta o arriva perché non resiste all’irresistibile attrazione del Vesuvio, della pizza e della sfogliatella.

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