Alla Gazzetta: «All’inizio il tennis non mi piaceva nemmeno. Facevo il raccattapalle così i soci dei circoli ci davano qualche mancia»

C’era una volta la Squadra, i Ragazzi d’oro della prima storica Coppa Davis conquistata nel 1976 restano icone immortali. Tra di loro c’era anche Tonino Zugarelli che alla Gazzetta dello Sport rivendica giustamente il suo ruolo di attore protagonista.
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Zugarelli: «All’inizio il tennis non mi piaceva nemmeno»
Tonino, lei resta uno dei simboli del tennis italiano. Eppure il primo amore è stato il calcio.
«A 16 anni mi chiamano per un provino alla Roma. Resto seduto ad aspettare per ore e ore, quando me ne sto andando, dall’altoparlante chiedono se c’è ancora qualcuno che deve fare il test. Mi concedono pochi minuti, tra l’altro all’ala, perciò immagino sia andata male. E invece all’uscita incontro il mitico Oronzo Pugliese, che allora allenava la prima squadra: mi dice che gli sono piaciuto e che si farà sentire».
E come andò a finire?
«A giugno mi arriva la lettera, la Roma mi ha preso per il suo settore giovanile. Ma c’è una postilla: mi manderanno in prestito all’Almas, una società satellite che sta in serie D. Sono così deluso che smetto con il calcio».
E così arriva il tennis.
«La verità? All’inizio non mi piaceva nemmeno. Ma venivo da una famiglia povera e per tirare su qualche soldo bazzicavo i circoli del Tevere a fare il raccattapalle, così i soci ci davano la mancia. Poi, se capitava, nelle pause prendevamo le racchette e facevamo pure qualche scambio. Così mi notarono, e mi iscrissero a un torneo di doppio per non classificati. Solo che finii per giocare pure il singolare, con buoni risultati. E siccome in tribuna c’era la Roma che contava, mi segnalarono a Mario Belardinelli (allora direttore tecnico azzurro, ndr) e finii a Formia. Insomma, cominciò così».
E per uno che ha iniziato a 17 anni, la carriera è stata mica male. Soprattutto perché a lei mancava la falange del pollice destro.
«Un piccolo inconveniente che mi era capitato per un incidente da ragazzo, quando tra i tanti lavoretti facevo pure il muratore e il falegname. All’inizio, il problema fu solo psicologico: mi imbarazzavo quando gli avversari mi davano la mano e fissavano la mia».
Se invece dovesse rigiocare una partita che ha perso, vorrebbe ritrovarsi al Foro Italico per la finale con Gerulaitis del 1977?
«Magari, ma non è un’ossessione. Sono stato bravo e fortunato a raggiungerla, e orgoglioso di essere stato l’unico italiano con Adriano (Panatta, ndr) a giocarla nell’Era Open. Almeno fin qui. Tra l’altro, prima di quel torneo ero in condizioni davvero pessime e avevo addirittura pensato di smettere. Resta sicuramente il torneo più importante della mia vita e persi con un giocatore che qualche mese dopo sarebbe arrivato al numero 3 del mondo».
Tutti i siti lo affiancato alla n.24 come miglior classifica. Ma…
«Ma è sbagliato. Allora l’Atp non pubblicava le classifiche tutte le settimane, e io per 15 giorni sono stato numero 19, c’è scritto pure sul loro libro».
Zugarelli si ritrova nella definizione di riserva di lusso?
«Assolutamente no. Venivano convocati quattro giocatori e poi si sceglieva la formazione più funzionale per quella sfida. Altrimenti bisognerebbe dire che quando giocai io contro l’Inghilterra Barazzutti era la mia riserva».
Si dice che quella squadra avesse un certo ascendente sulle donne…
«A 19 anni ero sposato, a 21 avevo già due figli, perciò la domanda forse va rivolta a Panatta… (ride). Certamente eravamo molto popolari, anche perché le vittorie aiutano».