Il calcio, ormai è chiaro, è una metafora. Una metafora per parlare della nostra città e talvolta anche di altro. Almeno per chi ha fondato e si dedica più o meno quotidianamente a questo sito. E poiché Napoli, così come i napolisti, amano e vivono di contraddizioni, come ha mirabilmente sintetizzato Antonio Patierno in un mio pezzo su Chinaglia, questo periodo è particolarmente florido.Un po’ perché il nostro Napoli pare giunto al capolinea di stagione (almeno in campionato), un po’ perché la città sta vivendo giorni particolari per le regate di selezione per l’America’s Cup.
Ecco, io vorrei partire da qui. E lo faccio ricordando che a Napoli non ci vivo più da otto anni e mezzo. Tanto tempo, tantissimo. E quindi, da non napoletano, io vivo positivamente quel che sta avvenendo in via Caracciolo. Mi hanno emozionato le foto del Lungomare invaso dai napoletani a Pasquetta, così come le foto delle imbarcazioni nel Golfo. Lo so, vengo meno al mio essere snob (o forse no) e ritengo positiva la scelta di pagare per ospitare un evento del genere. Stamattina ne ho brevemente parlato al telefono con Luca Maurelli. Lui è di parere opposto, lo ha scritto anche qui sul Napolista. Vive il dover pagare per quest’evento come una sorta di sconfitta e si chiede come mai a Napoli ci sia sempre bisogno di un evento per provare a cambiare qualcosa.
Domanda cui io rispondo come le nonne: perché sì. Senza altra spiegazione. Perché ce lo insegna la storia. E perché forse la città e i suoi abitanti hanno bisogno di sentirsi i riflettori addosso per riuscire a dare il meglio di sé. Quando le regate termineranno, Napoli si sentirà come ci si sentiva i primi giorni di settembre alla fine delle vacanze. Spaesati, vuoti. E tutto tornerà come prima. L’evento ti inebria, c’è poco da fare. E se Napoli capisse che potrebbe essere più o meno sempre così con una città effettivamente dedita al turismo, sarebbe tutta un’altra storia.
Ma che c’entra tutto questo col Napoli? Ora vengo alla nostra squadra. E faccio mie le osservazioni di Gianluigi Trapani: se levi gli anni di Maradona, che cosa ha vinto questa squadra? Due coppe Italia, rispondo, e una anglo-italiana. Roba da seconda fascia, se non terza, del calcio italiano. Poi arrivò Diego. E dopo di lui, un diciassettennio di buio. L’avvento di De Laurentiis ha cambiato il corso della storia. Ci siamo sentiti nuovamente proiettati in quella ribalta che avevamo assaporato negli anni Ottanta. Ma in prima fila, al tavolo degli sposi, non ci potremo mai stare. In fin dei conti Aurelio è sempre stato chiaro: “vi regalo una giostra che ogni tanto può farvi fare un giro pazzesco. Sia chiaro, io ci devo guadagnare, e voi vi divertite. Ma per voi non mi sveno. Scegliete: volete tornare nel buio di prima o vi accontentate di un modello Udinese? E magari ogni tanto ci scappa anche il grande evento (vedi Champions)?”
Al momento, per come la vedo, non abbiamo altra scelta: ci teniamo de Magistris con l’America’s Cup di terza fila e Aurelio col Napoli che non sarà mai la Juve ma nemmeno il Cittadella. Come sapete, non amo né l’uno né l’altro. Ma tant’è. Napoli non è New York City, anche se questa osservazione darà fastidio a qualcuno.
Massimiliano Gallo