Pocho, allora te ne vai. Te ne vai davvero. Te ne vai e io ho solo sette anni, non so cosa sia una clausola di rescissione, non so cosa sia separarsi, a scuola Ines dice che lei dorme un sabato a casa del papà e un sabato a casa della mamma.
Te ne vai, Pocho, e io non so cosa sta capitando, quello che sta succedendo a te e quello che sta succedendo a me. Ti ho visto piangere, avrei voluto farlo anch’io, tanto lo so che i grandi mi avrebbero stretto le loro mani intorno ai fianchi e avrebbero detto: Su, fai il giovanottino, perché ogni volta è così, invece a te nessuno ti ha fermato, ti hanno abbracciato e si sono bagnati una spalla.
Sarebbe bello farti una festa allo stadio come quella della Juve a Del Piero, sarebbe bello piangere insieme perché te ne vai. Il nonno dice che una festa d’addio il Napoli non l’ha fatta nemmeno a Maradona, gli ho chiesto perché, lui si è messo a parlare di una cosa che non c’entra niente, non mi ricordo neppure la parola, la nonna gli ha dato un allucco in testa, Che gli vai dicenno Antò, e lui allora mi ha arronzato un poco, Lascia stare a ‘o no’, quando ti fai grande te lo spiego.
Ora per convincermi racconta che quando un certo Sivori se ne andò, lui non si mise mica a piangere. E grazie tante nonno, avevi vent’anni, tu avevi letto Conrad, la follia di Almayer, Alì che per dimenticare Nina si getta in ginocchio sulla sabbia e cancella tutte le orme dei suoi piedi, lasciandosi dietro fino al mare una lunga fila di tombe in miniatura. Pocho, io non l’ho letto Conrad, non le conosco le parole di De André, meglio lasciarsi che non essersi incontrati mai, e anche se fosse non le voglio cancellare le impronte dei tuoi gol al Chelsea.
Quando sei arrivato dentro casa mia, ero nato da 3 anni. Il Napoli era tornato in serie A, ne aveva trascorsi uno in B e due in C, il nonno aveva paura ch’io diventassi milanista come lo era diventato mio cugino. Allora la mattina del 26 dicembre mi nascose i giocattoli che aveva portato Babbo Natale, disse che erano passati di nascosto quelli del Milan a prenderseli, che il giorno dopo quelli fanno così, entrano e rubano i giocattoli ai bambini buoni. Ora lo so che non è vero, ora non ci credo più, ora ho dei sospetti pure su Babbo Natale, non lo so, Pocho, l’anno prossimo ti dico.
Il nonno mi regalò una maglietta azzurra con il numero sette e il tuo nome. Nel senso che mi regalò proprio il tuo nome. Da allora mi chiama Pocho. Qualche volta Pocholino. Sette anni sono tanti per cambiare un soprannome. Guarda come piango adesso, come un giovanottino perché sono grande Pocho, divento grande oggi che te ne vai, imparo cos’è un distacco. Pensaci Pocho, separarsi sarà per sempre. Stare lontani dura di più che stare assieme, per questo gli amori più grandi devi lasciarli andare. Tanto che fa. Alla playstation ti toglierò dal Psg, dall’Inter, da dove cavolo andrai, e ti presterò la mia maglia azzurra. Quella col sette che mi ha regalato il nonno. La vita dovrebbe essere come la playstation, quando nasciamo dovrebbero darci una memory card.
Che poi Ines dice che c’è comunque qualcosa di divertente nel dormire un sabato con papà e un sabato con mamma. Sai, Pocho, è come avere due case.
twitter@ancarot (tratto dal sito ildivanosulcortile.blogspot.it)