Lo scontro tra Autostrade e Ministero è sempre più aperto. «Hanno teso una trappola a Castellucci. Conclusioni censurate anche dalla Procura». Intanto il muro di gomma comincia a cedere
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Ieri abbiamo riportato le rivelazioni di Repubblica in merito al muro di gomma opposto dall’ad di Autostrade, Giovanni Castellucci e da Paolo Berti, direttore delle Operazioni centrali, durante le audizioni davanti alla commissione di inchiesta del Mit.
La descrizione del contenuto degli interrogatori arrivava all’indomani delle accuse di Autostrade alla commissione, contestata per la legittimità delle procedure e dei commissari scelti.
Autostrade risponde a La Repubblica
Autostrade interviene con una nuova nota, pubblicata ieri sul suo sito internet, in cui si dichiara sconcertata e sorpresa da quanto riportato dal quotidiano e si lamenta della gestione dei verbali di audizione da parte degli ispettori ministeriali: la commissione, stando a quanto dichiara Aspi, si era impegnata ad inviare agli interessati i verbali e le registrazioni entro una settimana, invece, “dopo oltre un mese non sono stati ancora consegnati”.
Autostrade: a Castellucci è stata tesa una trappola
Aspi accusa la commissione del Mit di aver teso una trappola a Castellucci.
Scrive, infatti, che l’oggetto dell’audizione doveva essere la delibera del Cda che aveva approvato la ristrutturazione del ponte e invece si è spostata verso una serie di domande sulle cause dell’evento e su temi tecnici “rispetto ai quali i dirigenti hanno chiarito di non avere elementi di dettaglio, sui quali peraltro pende come noto un’indagine da parte della magistratura. Su questi temi l’amministratore delegato ha chiesto che fosse formulata una lista di dettaglio delle domande, cui poter fornire puntuale riscontro da parte delle strutture tecniche della società. Tale richiesta non è mai pervenuta alla società”.
La procedura utilizzata dalla commissione per stilare le sue conclusioni, conclude quindi la concessionaria, “è stata al di fuori di ogni regola”.
La natura pregiudiziale delle conclusioni
Ancora più grave, scrive Autostrade, “è la natura pregiudiziale delle conclusioni”. Appena nove giorni dopo il suo perfezionamento con la nomina dei commissari in sostituzione dei dimessi e dei rimossi per i vari conflitti di interesse che l’avevano interessata, “la commissione è giunta a suo dire non solo ad identificare le cause probabili del crollo, ma anche ad escludere qualsiasi responsabilità di chi ha contribuito alla elaborazione e approvazione del progetto di retrofitting. Una precocità di conclusioni che è stata censurata pubblicamente anche dalla Procura di Genova”.
Il Ministero: i tecnici ascoltati il 31 agosto, Castellucci il 13 settembre. C’era tempo per informarsi
Il Ministero risponde ricordando che i tecnici di Autostrade sono stati ascoltati il 31 agosto scorso, per molte ore, “su un ampio ventaglio di temi e dati” e che le stesse domande sono poi state poste il 13 settembre, quasi due settimane dopo, ai vertici di Aspi, “che avrebbero quindi avuto tutto il tempo per farsi fornire ampie delucidazioni sugli argomenti posti dalla Commissione”.
Il ministero aggiunge che “ogni audizione è stata corredata da un verbale che non è stato subito inviato agli interlocutori per la necessità di metterlo prima a disposizione, eventualmente, dell’Autorità giudiziaria”.
Le testimonianze dei tecnici e il buco al muro di gomma
In quei verbali c’è la prova che la commissione del Mit è riuscita a bucare il muro di gomma di Autostrade. Leggendo le testimonianze dell’ingegnere Alberto Selleri, dirigente Nuove Opere di Aspi, e dell’ingegner Massimiliano Giacobbi, responsabile del viadotto Morandi per Spea, si leggono ammissioni importanti: “Non vi state sbagliando, la sicurezza avrebbe meritato un certo approfondimento”.
Alberto Selleri: la tabella Sp002 avrebbe meritato approfondimenti
Quando il 31 agosto il presidente della commissione Mortellaro mostra ad Alberto Selleri di Autostrade la famosa tabella Sp002 che contiene i dati relativi alla verifica fatta da Spea alle travi del ponte, con numeri tutti inferiori al livello minimo di sicurezza, chiedendogli spiegazioni su quei valori che nella sua relazione finale avrebbe definito “inaccettabili”, Selleri risponde che forse quella tabella “avrebbe meritato un certo approfondimento”.
Riportiamo l’intero spezzone di verbale che oggi è su La Repubblica, perché ci sembra emblematico del tenore delle audizioni.
Mortellaro chiede al tecnico: “Se in un progetto di Spea non tornano le verifiche, che succede?”. Selleri: “Qualcuno deve alzare la mano”. Mortellaro: “Chi la deve alzare?”. Selleri: “Il responsabile ufficio specialistico, via direttore tecnico di Spea, oppure anche Aspi”.
Massimiliano Giacobbi: “Io fotografo lo stato di fatto, non spetta a me alzare la mano”
La stessa tabella viene mostrata sottoposta da un altro commissario, Gianluca Ievolella, a Massimiliano Giacobbi di Spea. Anche qui è utile riportare l’intero scambio così come lo scrive La Repubblica.
Ievolella: “Lei giustamente ora ci sta dicendo: ‘io il mio dovere l’ho fatto, io l’ho calcolato, poi se Autostrade non se l’è letto’”. Giacobbi: “No, ho detto che a livello di ispezioni e controllo fornisco la fotografia dello stato di fatto e lì finisce il mio mandato (…). Come direttore tecnico io sono responsabile del progetto, poi è chiaro che se ti consegno il progetto, tu hai l’obbligo di verificarlo, che poi non l’hai verificato…”.
La Commissione lo incalza, chiedendogli perché nessuno abbia mai ‘alzato la mano’, per dirla con le parole di Selleri, magari interrompendo il traffico sul Morandi. Lui risponde: “Mi riservo di approfondire questo aspetto”.
Ora, le dichiarazioni dei tecnici di Autostrade contrasta con quanto dichiarato dalla società stessa che nega la rilevanza della tabella, “sostenendo – scrive Repubblica – che i coefficienti riportati non siano indicativi, non essendo il prodotto di prove eseguite sul campo” e contraddicendo apertamente le dichiarazioni dei suoi stessi ingegneri.
La questione delle schede di valutazione
C’è poi la questione delle schede che ogni tre mesi vengono compilate da Spea per dare dei voti alle opere che sono sotto il suo controllo, da 0 a 70. Quando il voto scende a 43 è necessario intervenire. Per il Morandi, scrive La Repubblica, “di 43 ce ne sono una marea” ma nessuna allerta dichiarata da parte di Spea. Mortellaro lo fa notare a Giacobbi durante la sua audizione e Giacobbi risponde che la Spea si limita a compilare la scheda, poi la manda ad Autostrade, che deve decidere se intervenire o meno: “Noi non abbiamo oneri”, dichiara.
Le schede sono uguali sia per un piccolo ponticello a struttura semplice che per un viadotto strategico come il Morandi. Quando Ievolella lo fa notare a Giacobbi lui risponde che Autostrade ha fatto certificare questo metodo di sorveglianza.
Altri quaranta nomi segnalati dalla Finanza alla Procura
Nei prossimi giorni, il Primo Gruppo della Guardia di Finanza di Genova consegnerà alla Procura una lista di quaranta nomi che fra il 1992 e il 2012 hanno a vario titolo avuto a che fare con manutenzione, progetti, consulenze che riguardavano il ponte Morandi.
Si tratta di tecnici, dirigenti, ingegneri e progettisti vari che hanno ricoperto cariche all’interno di Autostrade per l’Italia, di Spea Engineering (controllata da Autostrade per l’Italia e delegata a manutenzioni e monitoraggi) e di Anas dal 1992 in poi.
Non si tratta di persone iscritte nel registro degli indagati, spiega Il Secolo XIX, ma di soggetti che nell’arco di questi vent’anni hanno ricoperto incarichi di comando, avuto a che fare con progetti o attività di vigilanza o manutenzione che riguardavano il viadotto crollato e che dunque hanno peri militari delle Fiamme Gialle “un interesse investigativo”. I pm dovranno decidere se iscriverli nel registro degli indagati in vista del secondo incidente probatorio previsto per fine anno.
Gli interrogatori di oggi
Oggi, davanti ai magistrati genovesi, sfileranno come testimoni due persone che, secondo quanto si apprende da fonti investigative, potrebbero ricoprire un ruolo chiave nell’indagine.
La prima è Assunta Chiara Perotti, supermanager del Mit, capo dipartimento delle infrastrutture, alla quale sarà chiesto di fare luce sulla giungla burocratica del Ministero per capire chi, negli uffici romani, ricevette gli allarmanti studi sui tiranti del ponte e le prescrizioni allegate al progetto di retrofitting.
L’altro interrogato è l’ingegnere Fabio Brancaleone, docente alla facoltà di ingegneria della Sapienza di Roma, direttore responsabile della Edin Ingegneria di Roma, l’azienda che nel 2017 sulle scorta delle relazioni allarmanti di Cesi Ismes e Politecnico di Milano realizzò uno studio sulla stabilità del ponte Morandi.
La Edin Ingegneria nelle scorse settimane è stata oggetto di una perquisizione da parte della Finanza che ha sequestrato documenti, analisi e contratti relativi appunto a questo approfondimento.
Il parere formulato nel 2007 da Mario Canzio sulla Convenzione
Il ministro Toninelli ha reso pubblico il parere di Mario Canzio, Ragioniere generale dello Stato nel 2007, sulla convenzione con Autostrade. lo racconta Il Fatto Quotidiano.
Nella sua nota, di 6 pagine, Canzio dedica uno spazio proprio al tema della decadenza della concessione, alla sua revoca e risoluzione. Nella formulazione scelta dal governo di allora e tramutata in legge l’anno successivo dal governo Berlusconi, è previsto che il concedente, cioè lo Stato, per riprendersi la concessione, anche nel caso di “fatto imputabile al concessionario” debba pagare una decina di miliardi circa ai Benetton per il “mancato guadagno” futuro, tra il momento della revoca e la data precedentemente fissata per il termine della concessione. “In pratica – scrive Il Fatto – con il criterio del “lucro cessante” viene calcolato un indennizzo, ma non a favore dello Stato che ha subito il danno, ma del concessionario che il danno l’ha provocato. Una follia elaborata con metodo”.
Il Ragioniere Canzio propose di eliminare gli articoli e i commi in questione, sostenendo che fossero illegittimi, ma non fu ascoltato.
Il decalogo per gli sfollati
Al via le operazioni di recupero dei beni degli sfollati, secondo un piano descritto oggi da Il Secolo XIX. Due ore per svuotare casa, ma non per portare via i mobili, solo le cose “un pochino più grandi”, come ha chiarito l’assessore regionale alla Protezione Civile, Giacomo Giampedrone.
Il piano dei rientri comincerà giovedì alle 8.30. Gli sfollati dovranno presentarsi mezz’ora prima dell’appuntamento in uno dei due punti allestiti ai lati del ponte per registrarsi.
Entreranno sei famiglie per volta, in sei palazzi diversi, per un totale di 24 famiglie al giorno per 13 giorni.
In ogni palazzo ci potrà essere una sola famiglia per ragioni di sicurezza: due al mattino e due al pomeriggio. Si parte dagli edifici più lontani dal ponte: via Porro 5, 6, 11 e 16, per limitare i transiti più vicini al moncone. I residenti che avevano fatto richiesta di poter rientrare nelle case, saranno contattati telefonicamente a partire da oggi.
I residenti hanno a disposizione due ore nette di tempo per scegliere le cose da portare via in 50 scatoloni di tre diverse misure forniti dal Comune insieme a scotch da pacchi e pennarelli per scrivere civici e interni sui cartoni. Dovranno soltanto riempirli, saranno poi degli addetti a sigillare le scatole e a collocarle sulle piattaforme che li porteranno ai piedi del palazzo.
Poi le scatole saranno caricate su un furgone e trasportate nel capannone scelto per il loro deposito, in via Greto di Cornigliano, dove rimarranno per dieci giorni in zone dedicate per ciascun residente.
Due giorni per pensare cosa recuperare dalle case
Immaginiamo gli sfollati alla vigilia del recupero: con così poco tempo a disposizione per riprendersi una vita è logico che inizino a fare mente locale su cosa portare via. Su Il Secolo XIX quattro sfollati raccontano cosa recupereranno dalle proprie abitazioni. C’è Giovanni Battista Lerma, il più anziano degli sfollati, che entrerà in casa con l’intento di recuperare la medaglia e la targa ricevute come partigiano. Liviana Ferrari, che porterà via il libro di poesie della mamma Giuliana. Giusy Moretti, invece, le tende regalatele da sua figlia. E poi c’è Mimma Certo, il volto delle commemorazioni, che porterà via il baule di guerra del padre, dove riponeva le statuine per fare il presepe. Vite sradicate, costrette in 50 scatoloni da riempire in due ore.