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Sto con Giampaolo e il calcio delle idee, ma servono sempre i giocatori

L’intervista di Giampaolo a Repubblica alimenta il dibattito sugli allenatori idealisti, quelli che non cambiano. È una questione di obiettivi e qualità dei giocatori.

Diversi tipi di allenatore

Nell’intervista rilasciata oggi a Repubblica, Marco Giampaolo ha preso un cavalletto, una tela e la sua tavolozza di parole. E ha dipinto il ritratto di sé stesso, o meglio di una categoria di tecnici che praticano un certo tipo di calcio. È il calcio dell’idea, ovvero un gioco che parte da una serie di concetti (meglio definirli principi) e poi investe tutto sui meccanismi derivati. Non è una questione di moduli (ne abbiamo già parlato), quantomeno non basta invocare l’inserimento di un centrocampista o un difensore in più. C’è un impianto, c’è una sovrastruttura di riferimento che viene ritenuta inderogabile dall’allenatore e che rappresenta il fondamento del lavoro. Per tutti, dallo stesso allenatore fino ai calciatori.

Come Giampaolo, esistono tanti allenatori che potremmo definire idealisti in questo senso: De Zerbi, Sarri, Klopp, Guardiola, in un crescendo rossiniano di impatto sulla storia recente del calcio. È un discorso che vale anche per il football della nostalgia: Cruijff, Sacchi, Michels, Menotti, Telé Santana sono stati i primi allenatori mediatici e “schiavi” della propria idea, un’idea vincente e che ha influito sull’evoluzione tattica del gioco. Un mondo diverso rispetto agli Herrera, ai Trapattoni, agli Schon, agli Hitzfeld. Ai Mourinho-Allegri di oggi, un gruppo dai contorni sfumati che parte da Ancelotti e arriva sino ai tecnici di Manchester United e Juventus, i cosiddetti pragmatici.

Ancelotti – ormai abbiamo imparato a conoscerlo – è un ibrido. In un ideale grafico bidimensionale tra ascisse ed ordinate, si troverebbe in mezzo tra il quadrante di Sarri e quello di Allegri. Il tecnico del Napoli ha dei riferimenti fissi (la difesa alta, la libertà organizzata dei giocatori in avanti), ma ama anche variare qualcosa per sorprendere/bloccare gli avversari. Prepara una strategia diversa ad ogni partita, per ogni partita. Deroga da sé stesso, può derogare, laddove crede sia giusto.

Giampaolo

Il tecnico della Sampdoria dà una lettura diversa, la sua idea tattica è progettuale. Ed è francamente condivisibile – almeno per chi scrive – in molti punti. Le frasi più convincenti: «Se entrassi nello spogliatoio e dicessi da oggi si cambia perderei credibilità. Peggio: farei smarrire certezze al mio gruppo, perché loro sono convinti del calcio che vogliamo esprimere. Sono alla Samp da due anni e mezzo, non cancello 29 mesi per 20 giorni, abbiamo tracciato una strada, non cambio, seguo il mio percorso, con serietà e ambizione. Pensare che cambiando il sistema, mutano i risultati, è calcio da bar. Di più: se perdessimo con uno schema nuovo, si direbbe che questa squadra è senza identità».

Nella testa di Giampaolo è tutto giusto. Ed è giusto nella realtà, perché se il progetto condiviso con il club Sampdoria è quello di sviluppare in questo modo il talento dei giocatori in organico, allora è giusto continuare in questo modo. È il principio per cui ieri, proprio ieri, Lele Adani ha parlato di «passo indietro» per il calcio riferendosi all’esonero di Andreazzoli all’Empoli. Se hai scelto una strada ambiziosa e/o coraggiosa, devi saper aspettare che il percorso finisca, prima di tirare le somme.

Ora, però, è tutta una questione di obiettivi. Se l’Empoli ha preso Iachini, è perché crede (ha pensato) che un calcio diverso, più pragmatico e meno idealizzato, potesse rendere di più. Potesse accorciare – nel senso di rendere più agevole – il percorso verso la salvezza. È il rifugio caldo e sicuro del tecnico che prova (solo) a fare i punti, la vittoria a breve termine senza un riferimento progettuale a lungo termine.

L’importanza dei calciatori

È il solito, infinito dilemma: la vittoria delle idee e nel tempo contro la necessità immediata dei risultati, e in pochi sono riusciti a mettere d’accordo tutti. Lo stesso Sarri, a Napoli, è stato estremamente divisivo. Ha avuto terreno fertile per seminare le idee del suo calcio, ma non ha colto il grande risultato. I suoi detrattori lo colpiscono proprio in questo punto (debole). Allo stesso modo, però, è ancora Giampaolo a spiegare meglio di tutti perché un allenatore idealista può funzionare. O meglio: come un allenatore idealista può funzionare. Lo fa proprio parlando di Sarri: «È un maestro per espressione di gioco e cambio di mentalità. Non avrebbe mai tradito le sue idee, pronto a giurarci. Ma senza quei talenti, avrebbe fatto più fatica. Il protagonista resta il calciatore, con la sua qualità».

È la chiave del tutto, insieme agli obiettivi della società. Del resto, lo stesso (bellissimo) Empoli di Sarri ha fatto 42 punti in 38 partite, 8 vittorie e 18 pareggi. Come dire: una squadra che vale(va) un certo punteggio ha raggiunto un livello probabilmente superiore grazie ad un certo tipo di gioco. Ma non è andata in Champions, tantomeno in Europa League. La stessa cosa vale per la Sampdoria di Giampaolo, che ha dei valori di metà classifica ed è nel gruppone dietro le grandi, a quattro punti dalla Roma. Ma è un discorso che vale per tutti, anche per Guardiola. Il Manchester City di Pep non pratica il tiqui-taca, gioca un calcio diverso perché cambiano gli interpreti. Non è il Barcellona del Triplete, non può esserlo. Come valore assoluto e come caratteristiche. Squadre diverse, che però vincono. Rispettano i programmi.

L’idea del progetto

Tutto va letto seguendo la dinamicità di un sistema in evoluzione, non cristallizzando i concetti. Se Giampaolo ha costruito la sua rosa e la sua squadra credendo in un progetto condiviso – per obiettivi e per modalità – con la società Sampdoria, è giusto continuare. È un approccio diverso, ambizioso perché punta sullo sviluppo di un’idea. Di una strategia tecnica e manageriale, per cui i calciatori possono rendere – che in questo caso vuol dire crescere e fare punti – solo giocando così. È vero per Giampaolo, può essere vero fin quando non si trova/prova qualcosa di diverso.

Il Napoli, nel passaggio da Sarri ad Ancelotti, ha funzionato (sta funzionando) perché evidentemente la qualità dei giocatori permette(va) di giocare in modi diversi. E sempre bene. Alla Sampdoria potrebbe andare diversamente, ma il punto è che Colley, Andersen, Praet, Caprari e Defrel sono calciatori che valgono per una certa cifra – ideale e potenziale. Finora Giampaolo ha fatto da garante a questo progetto, magari i nuovi interpreti potrebbero essere inadatti al suo calcio. Sta a lui capirlo, e trovare le contromisure adatte. Solo che il suo calcio, finora, gli ha permesso (è alla terza stagione a Genova) di centrare gli obiettivi della Sampdoria. L’ha fatto a modo suo, chiedergli di cambiare adesso per tre sconfitte di fila non ha molto senso. È il rischio/responsabilità dell’integralismo, dell’idealismo.

Anche se la vera domanda è la seguente: un allenatore pragmatico farebbe meglio di lui, fin da subito, con gli stessi calciatori? Non ci sono risposte, e in questo silenzio c’è il dilemma del calcio, della sua imponderabilità. Nel dubbio, lavorare a un’idea, ad un progetto, non può che essere la soluzione migliore, almeno dal punto di vista culturale.

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