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Kolarov ha rotto il muro: «I tifosi non capiscono di calcio»

Il terzino della Roma in conferenza stampa come un novello Burioni del pallone: «Il tifoso può essere arrabbiato, ma non deve fare tattica».

Kolarov ha rotto il muro: «I tifosi non capiscono di calcio»

Roberto Burioni versione sportiva

Nelle ultime settimane, uno dei dibattiti più interessanti in Italia è stato quello sul Burionismo. Vale a dire, l’idea che un approccio comunicativo severo in alcuni ambiti precisi possa o meno essere efficace in politica. Tutto fa riferimento a Roberto Burioni, virologo marchigiano che ha avviato l’attività di divulgatore in rete sul tema dei vaccini. Nei suoi post, soprattutto nei commenti, Burioni afferma l’assoluta superiorità della scienza rispetto alle opinioni delle persone. La sua frase-manifesto non ammette replica: «La scienza non è democratica», e contempla la sola ed esclusiva priorità dello studio e della conoscenza anche sul ragionevole dubbio. In questo modo, pensa Burioni, il mondo ideale sarebbe quello in cui solo i medici potrebbero parlare di medicina con cognizione di causa. Un approccio muscolare, che si concretizza anche in risposte “denigratorie” nei confronti di chi esprime un parere non argomentato. Ecco, oggi il calcio ha conosciuto il suo Burioni: Aleksandar Kolarov.

Durante la conferenza stampa di presentazione di Roma-Real Madrid, il terzino serbo ha pronunciato queste parole: «Non devo promettere niente a nessuno. Noi siamo consapevoli di avere sempre il sostegno dei tifosi sia in casa che in trasferta. Essere arrabbiati è un loro diritto. Come ho detto, non devo promettere niente a nessuno, ma solo a me stesso di fare il mio lavoro al massimo e lo faccio da sempre, dal primo giorno in cui ho cominciato a giocare a calcio. Sono pienamente d’accordo col mister: il tifoso può essere arrabbiato e può esprimere la sua opinione allo stadio, ma deve anche essere consapevole che di calcio capisce poco. Non parlo solo del tifoso della Roma, ma dei tifosi in generale».

Oltre Roma, mette anche sé stesso

Kolarov ha rotto il muro dell’ipocrisia. Quantomeno della sua. Per lui, il calcio è di tutti ma fino a un certo punto. La sua “buona fede” rispetto a questo punto di vista viene confermata pochi secondi dopo, quando lui stesso si mette tra quelli che capiscono poco: «A me piace tanto il tennis, ma non capisco niente. Stessa cosa col basket: sono cresciuto con la pallacanestro ma non ne capisco niente. Posso fare il tifoso, ma non mi permetterei mai di mettermi a parlare su come deve giocare Djokovic solo perché è serbo. Posso fare il tifo e basta. Ci sta che io mi incazzi se perde, ma non mi permetterei mai di fare tattica. Questo ragionamento vale per tutti i tifosi in generale, non solo per i tifosi della Roma. Qui si chiacchiera tanto, si spreca fiato ma alla fine non si dice niente».

Kolarov ha sollevato IL tema. Probabilmente, il serbo è il primo calciatore – almeno nella nostra memoria di uomini – che cancella l’idea del tifoso-competente. È un muro che si rompe, un argine dialettico che finalmente viene distrutto dalla forza idraulica di chi crede, dice e intende di avere una cultura del gioco. La nuova definizione del tifoso-spettatore, che in qualche modo è figlia dell’aziendalizzazione del calcio moderno: così come non è azionista del proprio club, il tifoso non ne è neanche allenatore. Certo, il meccanismo di affezione-fruizione dei tifosi è alla base dei guadagni dell’intero movimento, ma Kolarov sancisce il principio dell’esame di accesso, di una barriera perché si parli di un dato argomento. Altrimenti, dice, sono parole al vento. Di cui, francamente, me ne frego.

Un nuovo fronte

Ci sembra un passo in avanti importante. Per un motivo molto semplice: l’esonero di Di Francesco o di qualsiasi altro allenatore sulla graticola, in questo modo, potrebbe smettere di essere condizionato dai tifosi. È una scelta strategica della società e dei calciatori, ovvero dei (presunti) competenti. Nello stesso discorso, rientrano anche le scelte sui calciatori: storicamente, gli elementi fischiati dal pubblico perché non apprezzati sono andati comunque in campo, ma questo nuovo fronte potrebbe depotenziare l’impatto di una contestazione. In poche parole, renderebbe meno tossico il clima intorno alla squadra.

È una nuova dimensione inesplorata, a Napoli per esempio De Laurentiis combatte da anni con una (fetta di) tifoseria che l’accusa di essere spilorcio, taccagno, di non fare «rischio d’impresa» pur non avendo una minima preparazione finanziaria – anzi, la stessa fetta di tifoseria non sa nemmeno cosa sia il rischio di impresa. È andato avanti, va avanti, se ne è allegramente infischiato. Allo stesso modo, dopo le parole di Kolarov, un allenatore potrebbe sentirsi ancora più legittimato a insistere su un’idea tattica fregandosene dei fischi dei tifosi. Ragionando solo in base agli obiettivi del club, ai risultati da conseguire. Poi magari lui stesso potrebbe non condividere le idee del suo presidente, ma almeno ci sarebbe un rapporto di tipo professionale a sancire le gerarchie. Nel nuovo mondo ideale di Kolarov, i tifosi restano sacri in quanto tifosi. Sostenitori, non conoscitori di tattica e/o strategie finanziarie e di marketing. Quella è roba per professionisti. Il calcio non è democratico.

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