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A Torino non mi ha fatto male la sconfitta, ma le frasi di Mazzarri

Quattro giorni dopo, scrivo qualcosa di calcio. C’ero a Torino, che ho ritrovato magnifica città, e c’ero allo Juventus Stadium, orgoglio juventino su cui andrebbe spesa qualche parola. Se non altro per ricordare che sì l’impianto è bello, forse un po’ piccolo per i miei gusti, la partita si vede bene. Ma, soprattutto, per sottolineare la difesa pervicace della loro storia. Sulla copertura esterna dello stadio ci sono, ben visibili, le tre stelle che simboleggiano i trenta scudetti (per la Federazione sono 28); così come il trenta viene scandito dai tifosi incitati dallo speaker prima della partita (ah, a proposito le casse funzionano perfettamente, l’acustica è quella ideale per un concerto). Senza trascurare le foto giganti dei campioni del passato che fanno bella mostra di sé in Tribuna centrale (io ero nei nostri Distinti); e le stelle coi nomi dei calciatori più rappresentativi nel piazzale poco dopo l’ingresso.
La partita è andata com’è andata. Abbiamo perso. Abbiamo tirato poco in porta, diciamo quasi mai. Diciamo due volte, entrambe con Cavani. Eppure a dieci minuti dalla fine eravamo zero a zero. Sì, Mazzarri ha tenuto in campo uno spento Pandev, è vero. Ma la partita era in equilibrio e dal campo la sensazione netta era che chi si scopriva rischiava grosso. Del resto, loro ci temevano almeno quanto noi temevamo loro. Solo un calcio piazzato poteva sbloccare il match. Noi abbiamo colpito un incrocio, loro hanno segnato di testa. Ci sta. Non è un dramma. Almeno non lo è per me.
Quel che non ci sta, a mio avviso, sono le dichiarazioni post-partita di Mazzarri. Capisco che ormai ogni volta gli pongono la domanda sul futuro, ma lui impari a destreggiarsi, a evitarla. Non può, dopo una sconfitta, dichiarare che non sa se resta il prossimo anno. Somiglia tanto, troppo, al Mancini del post Inter-Liverpool di Champions, quando andò a frignare in sala stampa dicendo che se ne sarebbe andato a fine anno. Così fu, ma solo perché lo cacciò Moratti.
E no. Ci sta che ritardi i cambi, che non li fai, ci sta tutto. Ma dopo la sconfitta ti carichi la squadra sulle spalle, analizzi gli errori (e magari qualcuno lo ammetti) e guardi avanti. Che tempo ce n’è, anche troppo. Ed è giusto guardare oltre, come scrive Spadetta. Ma l’idea di sfilarsi, quella proprio no. È stata la cosa che più mi ha fatto male. Persino più del risultato e dei vicini di posto non proprio candidi. Ma è il bello della trasferta. A patto, però, che il condottiero non tradisca, altrimenti finisce che ti senti solo, per non dire scemo.
Massimiliano Gallo

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