Il film di Matteo Rovere ha come lingua originale un latino che ancora non sa di esserlo. Sorprendente la napoletana Tania Garribba
Il film di Matteo Rovere
Che bello essere italiani, quando non veniamo per primi, ma abbiamo i nostri tempi rispettando storia, lingua e creando altro. Con questo sentimento si esce dalla visione del film di Matteo Rovere “Il primo re” un’opera che qualcuno ha avvicinato a “Revenant” ma che nulla ha in comune con il film americano, se non un’epica dissimile. Due pastori Remo (Alessandro Borghi) e Romolo (Alessio Lapice) pregano la Triplice dea che mandi prosperità, ma in quell’ansa tiberina c’è solo da non finire sotto l’alluvione di turno. In quel territorio è Alba a costituire la comunità civica predominante militarmente ed i due vengono trascinati al giudizio di Dio dell’assemblea dei nemici. Con un sotterfugio scappano con un manipolo di bravi, ma sono stretti tra i Cavalieri di ferro di Alba ed i padroni della selva, i Velienses.
La sorprendente Tania Garribba
Il film ha come lingua originale – con sottotitoli in italiano – un latino che ancora non sa di esserlo: pieno di frasi idiomatiche, sacre e vicine alla natura ed al reale quotidiano. Prima grande meraviglia! Remo conduce con sé – “perché io sono lui e lui è me” – il fratello affidatogli da piccolo dalla madre uccisa dagli Albensi. Da notare che non si sente mai chiamarlo Romolo e questa sembra essere una scelta stilistica ben precisa. Nel corso di questa fuga che è poi trovare uno spazio di vita per sé e per gli altri si scontrano due visioni: quella di Romolo che vuole che “il Dio sia con noi”, che convince Remo a portare con loro la vestale del Dio Fuoco (Satnei) interpretata dalla sorprendente attrice napoletana Tania Garribba, già vista in alcune prove con Salvatores. A contrario c’è Remo che invece incarna un potere basato sulla forza fisica e sull’autorità militare, una laicità che non crede alla presenza di un divino da rispettare: un Fas.
Dallo scontro tra un’idea di comunità – che rispetti in terra quello che c’è in cielo – con una visione sine deos, nasce Roma con la formula: “Tremate”. Dalla frase di Plutarco a quello che è oggi ancora il simbolo dell’Imperium. La comunità che sarà Civitas non è basata sui legami di sangue, ma su un’organizzazione del potere civile e militare che guarderà a ricercare l’assenso del cerchio divino del Fuoco. Ci sarà sempre bisogno di aruspici per indovinare il presente e prevedere il futuro. Lo scontro tra la religio di Lucrezio e la laicità sarà la storia del mondo che ancora continua a copiare quei pastori del Latium vetus, che si fecero cittadini con il loro sangue versato.