Mi sembra che stiamo trascurando Gianluca Grava. Abbiamo compianto Paolo Cannavaro, ci siamo dannati sui 2 punti penalizzazione, abbiamo contestato il diritto sportivo, ma non abbiamo speso una parola per il difensore casertano.
Eppure Grava è danneggiato quanto se non più Cannavaro: a 35 anni la sua carriera finisce con l’ignominia della squalifica. I pragmatisti diranno che, tanto, di fatto, Grava è già da due anni un ex calciatore, che dopo la rottura del crociato non era altro che un uomo spogliatoio, che gli ultimi due rinnovi contrattuali sono stati un sufficiente premio alla sua dedizione alla causa azzurra. Che di soddisfazioni se ne è tolte.
Ma non è così semplice. Una storia si valuta soprattutto dal suo finale. Negli annali rimarrà che la cavalcata di Grava dalle serie minori all’Europa è finita con una squalifica per illecito sportivo. E Gianluca non se lo merita. Non è uno cui la fortuna è caduta addosso, ha avuto tanto merito nel suo trasformarsi da giocatore di categoria a valido stopper di serie A. E poi non è come Pablito Rossi, ancora in tempo per scrivere un happy ending alla propria storia. A 35 anni, i giochi sono fatti.
Non voglio cadere nella retorica del Grava combattente, o in quella del campano che gioca nella squadra del cuore. Dico solo che Grava ha meritato tutti i risultati raggiunti. Sono due, Reja prima e Donadoni poi, gli allenatori che hanno provato ad accontonarlo. Se è tornato in campo, è sempre per la qualità dell’impegno e delle prestazioni nel rettangolo di gioco. Proprio per questo, meritava un’uscita di scena di tutt’altro livello.
Roberto Procaccini