“L’Amata Immortale è napoletana: al dunque si emoziona”. Così scrive Vittorio Zambardino su Facebook. Ed è difficile non condividere. Ogni qual volta questo Napoli arriva alla prova di maturità, immancabilmente la fallisce. È stato sempre così, tranne la finale di Coppa Italia. Ma quella – a mio avviso – era una partita fondamentale per noi e meno per loro. Comunque la vincemmo e questo conta.
E quindi non ero tra quelli che aveva ipotizzato una goleada, una vittoria roboante su una Sampdoria ostica, peraltro in forma. Sapevo che sarebbe stata una partita difficile. Così come sono consapevole che i punti in campionato si fanno anche in partite giocate male. Eravamo nervosi, contratti, consapevoli della posta in gioco. Perché è questo il principale problema della squadra: la tenuta mentale, la capacità di stare concentrati. Nel tennis, ma nello sport in generale, la differenza tra un buon giocatore e un fuoriclasse è che il fuoriclasse sfodera il colpo migliore nel momento decisivo. Ed è su questo che si deve lavorare. Anche su leggerezze, come quella di De Sanctis, che sarebbe potuta costare caro al Napoli.
Quel che però non avrei immaginato è sentire i fischi a fine partita. Per diversi motivi. Innanzitutto perché una squadra viene fischiata quando mostra scarso impegno. E non mi è parso questo il caso. Poi perché, a mio avviso, una squadra viene fischiata quando va ben al di sotto degli obiettivi minimi di stagione. Che ne so, una retrocessione inattesa, o una promozione accessibile ma non raggiunta. Oggi direi che stiamo vivendo un’avventura che non avremmo pensato di vivere a inizio stagione. Sono stati proprio i nostri avversari, la Juventus, a legittimarci con le loro recenti dichiarazioni. Certo, andare a meno due sarebbe stato meglio. Ma il pareggio interno, a mio avviso, non cambia di molto la situazione.
E, ancora, quei fischi mi sono parsi in contraddizione con la storia del pubblico del San Paolo. Ricordo contestazioni violentissime (dopo una sconfitta interna con la Roma per 1-3, ad esempio), ma ricordo anche gli applausi con cui in lacrime omaggiammo chi venne a scipparci dal petto lo scudetto. E, sempre quell’anno, non pensammo neanche lontanamente di fischiare i giocatori eliminati dal Real Madrid.
I fischi sono legittimi, per carità. Semplicemente, non li comprendo. Ma metto anche in cantiere una mutazione antropologica del pubblico. Più milanese, più esigente. Potrebbe non essere un male, eppure a me sono parsi fuori luogo.
Massimiliano Gallo
Applaudimmo il Milan nell’88, oggi fischiamo questo Napoli
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