Potremmo provare a sottrarci al fiume di interpretazioni da attribuire a tutto ciò che riguarda Napoli e il Napoli. E guardare i venti minuti di intervista ad Alì a Manila
Potremmo provare a sottrarci, una volta tanto, al fiume di interpretazioni da attribuire a tutto ciò che riguarda Napoli e il Napoli, dopo ogni sconfitta e ogni vittoria. Capire che sono proprio queste interpretazioni a costruire i significati ed i significati, così artificiosamente assemblati, a dar vita a tutti i fantasmi da cui è avvolta la nostra cosiddetta città.
Napoli, come racconto popolare, organico, unitario e coerente, non esiste. C’è bisogno che se ne convincano la borghesia, gli ultras ma anche gli intellettuali e i giornalisti. Tutti costantemente in preghiera attorno ad un feretro vuoto. E non c’è quasi alcuna distanza concettuale tra il tifoso che attende il gol inglese per inveire contro il presidente, quello che fischia un giocatore della propria squadra che esce sconfitto e l’altro che attende entrambi questi eventi per dire che tutto è irrimediabilmente perduto e l’allenatore farà meglio a partire al più presto per salvarsi. Tutte queste voci non fanno altro che costringere il gioco alle proprie minute e particolari regole, ciascuna desiderosa di violentare il mondo che invece rotola dove vuole, come la palla sul campo. Tutte mosse da un peccato di superbia – il ritenere di avere la chiave per tutte le serrature della storia – che altro non è che la eterna comica certezza degli uomini.
Insigne andrà via: ha segnato contro il Borussia Dortmund e a Madrid e non ha alcun bisogno dei consigli dei tanti accaniti critici che rientrano nella categoria che neppure De André seppe riconoscere, quelli che oggi danno buoni consigli ma che in vita non sono neanche riusciti a dare un po’ di cattivo esempio. Ancelotti rimarrà, perché è un uomo che non cerca un riscatto e non proietta costantemente il proprio passato sul futuro ma compra cavalli ed è alla ricerca di emozioni. Ancelotti è un uomo che ha ancora fortunatamente a cuore, nel suo lavoro, un po’ di immaginazione.
A proposito della quale consiglio la visione di questi venti imprescindibili minuti di intervista a Muhammad Ali
Dal titolo chiaro e conciso, “In the Presence of the Greatest”. Non esiste vicenda sportiva, non esiste Manila, non esiste Napoli, non esiste la boxe, esiste solo l’immaginazione: chi ce l’ha diventa Cristoforo Colombo, chi ne difetta rimane un semplice Joe Frazier. Uno solo il comandamento che il campione regala alle telecamere, mentre schiva accuratamente i fendenti del suo sparring partner: “I must preserve my beauty”. Devo conservare, preservare, curare la mia bellezza.
Non esiste Napoli, esistono solo il nostro racconto, i nostri anni felici che costantemente vogliamo far tornare in vita, qualche rancore cui seaideriamo fare affidamento o l’eco delle battaglie che siamo stati sufficientemente vigliacchi da non combattere e che pretendiamo gli altri vincano. Esiste solo la bellezza del gioco, del “Thrilla”, per usare la lingua di un uomo nero che, solo per colpire l’immaginazione di tutti noi, decise di svestire tutto, persino la sua religione, persino il suo stesso nome, in tempo e luoghi assai più difficili di quelli che abitano oggi dalle nostre parti.