Vittorio Zambardino scrive per il Napolista un breve ma esaustivo saggio in tre puntate sulla Smerdj, ovvero la sindrome del meridionale juventino
Il titolo non me lo ricordo e Google non mi aiuta, fa parte del pozzo delle letture dimenticate. Ma il finale di quel racconto di fantascienza era: “Se qualcuno è ancora bianco, ora noi possiamo curarlo”. Lo mandavano da un’astronave di ritorno verso il nostro pianeta un gruppo di umani che aveva lasciato la terra secoli fa, una terra che era preda di conflitti di razze, gruppi, nazioni. Tutti divorati dal pregiudizio e dall’odio. La terra del ventesimo secolo. Ma vagando per lo spazio ed incontrando civiltà aliene e più evolute, i profughi avevano trovato la cura per quella malattia che è l’istinto alla discriminazione dell’altro. E la base della cura era biologica: tornare tutti, noi umani, ad avere la pelle del colore dei nostri antenati. Neri.
Ecco, mio Caro fratello meridionale & juventino (fratello in quanto meridionale), ti scrivo una lunga lettera. Da ora in poi, per brevità tu sarai MERDJ (Meridionale Juventino) e SMERDJ sarà detta la tua sindrome. Ma non lasciarti ingannare dagli acronimi e dalla loro involontaria carica d’offesa. Non di insulti o di condanne parliamo qui. Semmai di empatia e comprensione. Tu sei, fratello nostro, una forma particolarmente perversa del tifo calcistico inteso come pregiudizio. Parliamo di quella forma di lucido fanatismo che resta calcistico e non sconfina in forme delinquenziali. Non ricadono nel nostro discorso né gli autobus bruciati né gli stadi devastati. E non dovrebbero ricadere, ma ahimè questo non è possibile e dovremo occuparcene, nemmeno le manipolazioni dell’informazione, sportiva e non. Quanto sarebbe bello poter chiedere ai cronisti torinesi di vari giornali che l’anno scorso scrissero, dopo uno Juventus-Napoli, di “bagni del settore ospiti devastati dai tifosi del Napoli – aperta un’inchiesta della magistratura”, cosa ne è poi stato di quella inchiesta. E se il magistrato abbia mai deciso di procedere per numero 1 lavandini rotti. Non che sia consentito farlo, né con uno né con dieci accessori, ma la famosa proporzione fra titoli e fatto… va bene, non cominciamo a perdere la strada, ché il tema “quando si tratta di napoletani ogni diffamazione ed iperbole è possibile” è per l’appunto un’altra strada, che da qui ci porterebbe poi lontano. Anzi no. Rimaniamoci ancora un attimo, su quella partita e su quel pre partita. Perché per poterci capire dobbiamo per forza partire da una classificazione del male che tu rappresenti e diffondi nella società.
Cominciamo dal tuo Tipo-A, non il più diffuso ma quello “nativo”, in termini geografici.
Il MERDJ di tipo A: o dell’emigrato
Nella famosa intervista “i napoletani li riconoscete dalla puzza” – altra domanda destinata al silenzio: ma il giornalista poi licenziato per quel servizio, se l’era mandato in onda da solo quel prodotto del suo lavoro? Nelle sedi regionali Rai la catena di comando che governa ogni redazione di questo universo non usa? In quella famosa intervista, dicevo, tu ti sei manifestato in tutta la forza linguistica del tuo odio sgrammaticato. Hai lasciato per tempo le tue terre del sud, per lo più a sud di noi, diciamo la Calabria, la Puglia, la Sicilia. Ma non tanto presto da non portarti dietro l’accento. Oppure quello te lo hanno trasmesso in famiglia e tu invece puoi sventolarci sotto il naso la carta di identità che ti dice nato a Nichelino, a Moncalieri, a Settimo. Appartieni ad una umanità che parla piemontese con le aspirate, che dice “minchia” e che è passata in qualche gag della Littizzetto. È il pidgin (qui wikipedia) del meridionale a Torino. Rilegittimato, reimpiantato. La tua è una umanità culona e sguaiata, come siamo noi, ma noi come tali ci riconosciamo, essendo cresciuti a taralli e noccioline “in terra a margellina”. La tua invece frequenta il centro della Città nei giorni di vacanza dei “titolari”. Come in una “Stangata” culturale, finge di possedere un territorio non suo. Alcuni piemontesi doc ti vedono come il segno del loro riuscito melting pot (wikipedia). E tu sei d’accordo con loro, quando strisci sotto i portici per ammirare la ricchezza che non ti appartiene e che tu guardi con gli occhi del consenso.
La mistificazione democratica del reimpianto
Tu, tipo A, sei il midollo della mistifcazione democratica della Torino di oggi. Fragilina. Molto affidata al denaro pubblico nazionale ed europeo. Spacciabile per grande ristrutturazione sociale e urbanistica solo in un paese sfasciato e miserabile come questo. Ma tant’è… È una dimensione che non ti offre poi molto, nemmeno in termini di quel benessere che fu calamita per i tuoi antenati. Ma in compenso ti fa sentire rilegittimato e reimpiantato in un tessuto, come se questo fosse la tua nuova casa. Ma che non ti appartiene e non ti è mai appartenuto – e soprattutto non vuole che tu gli appartenga. Il terreno del reimpianto è la saga del pallone.
Visiti un parco a tema e pensi che sia un mondo
Tu pensi di essere una novità sociale, pensi di aver lasciato la meridionalità che noi incarniamo, ma sei solo uno strascico di storia italiana: sei un cafone del sud, un “mandarino”, un “Napuli” – Perfino i nomi con i quali ti bollano sono gli stessi sui quali sputi e ti confermano che non sarai mai uno di loro, ora che non si più uno di noi.
Perché il melting pot si è da tempo rovesciato ed ha sparso sul pavimento i suoi ingredienti. Tu sei il materiale di risulta di una integrazione italiana mai riuscita. Lo dice il tuo accento. Lo dice il modo estraneo, rumoroso e stralunato, col quale ti trascini sotto i portici di Via Roma, inconsapevole di starti muovendo non in una città, ma in un parco a tema, disertato dai suoi fondatori. E lo dice, soprattutto, il tuo odio per noi. Lo dice la rabbia irredenta che metti nei tuoi insulti.
Il tuo odio non ti salverà, gli dèi sono morti
Tu ci odi con la cecità di chi fa proprio il pregiudizio degli altri. Tu vorresti che il tuo odio per noi fosse il tuo atto d’amore per loro e continui a ripetere: “io non sono come loro”. Ma tu preghi un dio assente. Tu immagini una sovranità concreta e forte, incarnata nel calcio, laddove dietro lo show ci son solo le quinte della finzione. Forse tuo nonno, o tuo padre, se sei in età matura, ebbe la gioia di lavorare per dèi presenti e vivi. Quando era la sfumatura dell’avvocato, il suo andarsene a metà partita, le sue dichiarazioni davanti a giornalisti inginocchiati lo spirito del tempo cui tutti dovemmo piegarci. Tuo padre o tuo nonno lavoravano in fabbrica per un dio che nei feriali gli dava il lavoro e la domenica officiava per loro la cerimonia del pallone. L’integrazione non c’era nemmeno allora, ma in quel circuito si realizzava una certa sacralità, potevi legittimamente sentirti “fuso” con loro – ma in ogni caso il posto di tuo padre alla tavola del potere e della ricchezza era lo stesso che oggi è tuo. L’ultimo. Con l’aggravante, oggi, che dietro i furbissimi di Corso Galileo Ferraris non c’è più alcun dio presente. E nemmeno il suo fantasma. Se qualche spettro agita la catena e fornisce le parole giuste agli attori in scena, è lo spirito e la cultura dei Luciano Moggi. Quindi non dell’impero, se mai vi fu. Ma il dialetto sguaiato dei generali usurpatori. E con te, avrei finito, fratello schiavo e perduto. Ben altro mi resta da dire, visitando come faremo le varie incarnazioni del tuo pensiero e disegnando il profilo dei tuoi altri tipi: B, C e D. Il peggiore quest’ultimo. Il Napoletano Juventino. Ma andiamo con ordine.
Per ora ci basti averti collocato, fratello MERDJ, nella dimensione della gregarietà culturale.
Vittorio Zambardino 1/ continua
La seconda puntata: Meridionale juventino (merdj), tu sei il vero arcitaliano / 2
La terza e ultima puntata: Ma infine ti perdono, traditore juventino