Da un Borussia all’altro. Dalla partita più bella dell’anno ai giorni del broncio. Tutto in due mesi. Contro i tedeschi al San Paolo, il Napoli di Benitez giocò la sua partita più scintillante. Prevengo l’obiezione di chi vorrà cavillare: in 11 contro 10. Certo, sull’1-0 il portiere Weidenfeller venne espulso, altrimenti Higuain sarebbe andato a segnare il secondo. Ora invece alla seconda sfida con i tedeschi arriviamo pieni di incertezze su un po’ di cose essenziali: chi siamo, da dove veniamo, chi mantiene a Lewandowski.
Mi sono preso la briga di andare a scavare un po’ nelle partite giocate dal Napoli in questi due mesi, per capire che cosa è successo. Intanto vanno dette tre cose. 1) Il Napoli del possesso palla massiccio è stato capace di vincere anche quando ha lasciato il pallino del gioco in mano agli avversari (a Firenze il possesso è stato del 31%). 2) Il Napoli che fonda la costruzione della sua manovra su una rete fitta di passaggi è stato capace di vincere anche nel giorno in cui ha toccato il minimo stagionale nella precisione (contro il Livorno, appena il 68%). 3) Il Napoli delle tre mezzepunte è riuscito finanche a vincere nei due giorni in cui quasi mai ha saltato l’uomo, e per quasi mai intendo tre volte in 90 minuti: è successo sia contro il Torino sia contro la Fiorentina. Insomma, contrariamente a quanto si rimprovera a questa squadra (“gioca in un solo modo”), sembrerebbe che il Napoli di Benitez sia stato capace di vincere spesso anche contro la sua stessa natura. Cosa che trasforma una squadra in un progetto di grande squadra.
Ma nel guardare e riguardare i report delle partite, nel ficcare occhi e naso sulle direzioni più frequenti del pallone, c’è una situazione di gioco in occasione della quale il Napoli non porta a casa la partita. Succede quando i tackle scendono sotto il numero di 25 e soprattutto quando gli uomini che più spesso sono chiamati ad affrontarli non sono gli esterni. Riassunto: il Napoli non è più se stesso, si perde, quando i suoi esterni sono molli. Un anno fa era Behrami lo specialista del contrasto. Ma quest’anno, pur rimanendo Behrami ad alti livelli, i giocatori con più tackle in una partita sono stati quasi sempre gli esterni: in un caso Zuniga (con il Chievo), in un caso Armero (Livorno), in un caso Callejon (Torino), in molti casi – ecco una sorpresa illuminante – è stato Mesto (Sassuolo, Genoa, Livorno, Fiorentina). In altre circostanze si è fatto sentire Maggio (nelle due partite con il Marsiglia). Mi pare si possa dire con chiarezza cosa significa: il Napoli funziona quando è aggressivo sulle corsie esterne. Con Juventus e Parma il maggior numero di tackle il Napoli lo ha giocato nella parte centrale del campo, rispettivamente con Fernandez (addirittura, laggiù, nel cuore della difesa) e con Inler. Forse vale la pena riflettere sul fatto che i guai sono cominciati quando si è fatta sentire la riduzione del numero degli esterni, giocatori decisivi nei meccanismi di Benitez per la copertura difensiva nel suo 4-2-3-1. Zuniga fuori, Mesto fuori, gli straordinari richiesti a un Maggio appena rientrato dopo l’intervento e ad Armero, che proprio un gran difensore non è.
La chiave forse sta qui. Così come è da registrare che in tutte e quattro le partite perse dal Napoli in questa stagione il calciatore che più spesso ha tirato in porta è stato Insigne: 4 volte contro la Roma, 4 contro l’Arsenal, 6 contro la Juve, 2 contro il Parma (alla pari di Higuain). Quasi come se nei giorni storti al Napoli rimanesse solo la sua sfacciataggine e nulla più. Nelle prime cinque partite, per quattro volte era stato invece Higuain a cercare più di frequente la porta. Poi mai più, tranne che con il Catania. Questo studio simil-tattico di poche pretese, insomma, dice che il Napoli può riprendere la strada giusta e tornare brillante rimettendo Higuain al centro della propria manovra, assistendolo meglio. E ritrovando la copertura degli esterni. Certo, lo so, com’è bello parlare.
Il Ciuccio