Siamo usciti dalla coppa. “E il modo ancor m’offende”. Perché se butti via sei o sette occasione da rete poi… ben ti sta. Qualcuno critica gli attaccanti. Qualcuno i difensori. Qualcuno il tecnico.
Io non sono un rafaelita. Né un anti rafaelita. Non ho idoli. Sono soltanto un libero pensatore.
E come tale voglio ragionare senza preconcetti.
Noi tifosi del Napoli viviamo da sempre in attesa. Attesa di una squadra che ci porti ai vertici nazionali. E, perché no, europei. Questa atmosfera di attesa si è interrotta soltanto con la stagione di Maradona. E con i relativi successi (nazionali e non internazionali). Successi legati alla presenza irruente di un genio assoluto e non ad un lavoro di solidificazione delle fondamenta societarie. Come poi ha tristemente e inesorabilmente dimostrato la storia.
Passato dunque quel periodo, per molti versi irripetibile, siamo ripiombati nell’attesa. Una cosa però è cambiata. Non solo di attesa viviamo ma anche di ricordi.
Se dovessi pensare ad una atmosfera letteraria, l’attesa evocherebbe molte opere. Il deserto dei tartari in cui si attende in forma quasi maniacale un accadimento che non arriva mai. Aspettando Godot. La linea d’ombra nel quale, aspetta aspetta, poi il vento tanto atteso arriva.
Ma nell’attesa di noi tifosi c’è un elemento che mi pare preponderante. Il disincanto. Quel disincanto che dipinge alla perfezione Raffaele La Capria in Ferito a morte. Dove viene affrescato “quell’inseguire continuo e precario della bella giornata, sempre mancata, sempre promessa.” (Carola Susani).
Ecco noi tifosi aspettiamo la bella giornata. Sempre mancata. Sempre promessa. E lo facciamo con quel filosofico disincanto proprio della nostra gente. Poiché la bella giornata, sempre mancata, sempre promessa, non arriva mai, ci rifugiamo nel ricordo delle belle giornate di trent’anni fa.
Bene! Diciamolo con chiarezza. Quelle belle giornate, in quella forma, con quella genesi non possono tornare più. Con il colpo di teatro a noi tanto caro e congeniale non si va più da nessuna parte. Oggi occorre organizzazione. Occorre programmare il cammino.
Non sono un rafaelita. Né un anti rafaelita. Mi sono però convinto, e voglio dirlo oggi che certamente non è una bella giornata, che De Laurentis scegliendo Benitez ha scelto un metodo di lavoro. Moderno. E (lo spero) produttivo. Il metodo della costruzione paziente di una squadra ogni anno un poco più forte. Il metodo di tenere i bilanci sani per poter programmare con cura e serenità. Benitez, sia chiaro, non è privo di difetti. Né è l’unico tecnico capace in circolazione. Il modulo di gioco, le tattiche, gli allenamenti contano molto ma da soli non bastano più. La contrapposizione tra rafaeliti e anti va risolta con un sorriso. Quello che conta è capire che occorreva cambiare il metodo scelto trent’anni fa per arrivare alla bella giornata. E Benitez può essere lo strumento per realizzare tale cambiamento. Ci regalerà una bella giornata? Pretendere una risposta a questa domanda è pretendere troppo. Però la strada sembra quella giusta. Purché abbiamo la maturità di aspettare.
Guido Trombetti