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La maglietta anti-legalità della Juventus è legale?

C’è la partita e non so cosa mettermi, deve essere andata così. Ci sono occasioni speciali in cui una maglietta la scegli per bene, vuoi quella, esattamente quella. A una maglietta affidi un messaggio. E’ il mezzo. E il mezzo, si sa, il mezzo è il messaggio. L’abbigliamento è una forma di comunicazione. Vestirsi è come votarsi alle teorie di Mac Luhan. Figurarsi se sulla maglietta c’è poi una scritta. Ancora di più. Certo, esiste una differenza fra un uomo che è stato sparato e una maglietta. Una scala di valori che non si può occultare. Ma anche i messaggi sulle magliette creano un clima nero, e dentro il clima nero può scivolare qualcuno che si fa armare la mano.

Perciò anche della maglietta bisogna parlare. Una maglia nera, con una scritta chiara che si beffa di una sentenza. E non sto parlando di “Speziale libero”, è l’unico fronte di cui s’è detto già tutto. Sto parlando dell’altra maglietta sfoggiata nel mondo del calcio durante il week-end, quella con cui i calciatori della Juventus hanno celebrato il loro meritatissimo scudetto. Ne avete sentito parlare da qualcuno? Una t-shirt indossata un istante dopo la sconfitta della Roma a Catania, una celebrazione pronta, in qualche modo perfino arguta, con un’ambizione di eleganza. Le cose sanno farlo per bene, in campo e fuori, con il pallone tra i piedi e con le armi della comunicazione. C’era scritto, su quella maglietta: “non c’è 2 senza 3”. Dove il 2 e il 3 si intrecciavano su piani sfalsati fino a formare il numero 32. Come se Genny la carogna, per reclamare la revisione del processo all’uomo riconosciuto come colpevole dell’omicidio dell’ispettore Raciti, si fosse scritto sul petto un inno alla figura che nel medioevo si occupava di preparare medicinali, profumi ed essenze nella sua bottega. Lo speziale.

Ma l’arguzia non cancella il messaggio, lo rende solo più subdolo, più presentabile, non gli toglie la sostanza. La sostanza è che la Juve, un istante dopo aver vinto il campionato, ricorda al mondo che i suoi scudetti sono 32 e non 30. E’ la negazione di una sentenza, il suo rifiuto. E’ l’ostinata affermazione del rigetto di un sistema di regole. Sbucciate il frutto, togliete la polpa, e il nocciolo è lo stesso di Speziale Libero. Con l’aggravante che tutto ciò avviene 24 ore dopo i fatti di Roma e dell’Olimpico (li chiamano così: i fatti dell’Olimpico; non lo chiamano tentato omicidio), quando forse il calcio italiano aveva bisogno di qualcuno che si mettesse alla guida del movimento per calmare gli animi. Alla guida del movimento per rasserenare gli animi, ora lo sappiamo, Agnelli e la Juve non vogliono mettersi. Agnelli, anzi, ha pure ricordato che la terza stella sulla maglia non la metteranno. Casomai la stamperanno un giorno, quando qualcuno arriverà a vincere la seconda. Per marcare la differenza, la differenza tra loro e gli altri. Sarebbe stato bello invece se la Juve avesse marcato la differenza domenica sera, rinunciando al livore di quella maglia, un livore arguto, lo ribadisco, ma sempre veleno è: hanno solo scelto una boccetta di lusso dentro cui servirlo.

La maglietta va anche in commercio, adesso: ho visto una pubblicità a tutta pagina sulla Gazzetta. C’è anche la misura per i bambini. Che peccato, che occasione persa. I bambini della Juve li avevamo lasciati dentro la curva svuotata dagli ultrà, che occasione persa, quella, poteva essere una svolta. Ma sì, mettiamogli addosso quella maglia. Venti euro, cosa sono venti euro. Non una presa di distanza, nemmeno una. Ovviamente, quella maglia eversiva di una sentenza non porta ad alcun Daspo. E’ solo una nuova manifestazione di una battaglia legale (c’è una richiesta mostruosa di danni verso la Figc, confesso che non mi è bene chiaro a che punto sia la vertenza), una battaglia che per la Juve è pure culturale, identitaria vorrei dire. La Juve è libera di mettere le maglie che sente di dover mettere, il focus vero è sulla Figc. Che di fronte a quella maglia sente di non dover dire nulla. Cosa dovrebbe dire, del resto, se il presidente federale Abete, di note simpatie juventine, ha portato la nazionale a giocare dentro lo Juventus Stadium, che all’ingresso ti accoglie con un gigantesco 31, che adesso andrà aggiornato? La squadra che rappresenta tutta l’Italia è stata portata nello stadio che del sistema di regole del calcio italiano si fa beffe. Uno stadio all’interno del quale, la settimana scorsa, non è stato fatto entrare uno striscione dei tifosi del Benfica che volevano rendere omaggio al Grande Torino. Lo hanno fermato ai cancelli. Hanno detto che era una provocazione.
Elena Amoruso

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