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In uno stadio privato non sarebbe mai accaduto

Se qualcuno cercasse di spiegare gli avvenimenti di sabato nel pre e post partita di Napoli-Fiorentina a un inglese o a un tedesco, avrebbe come maggior difficoltà quella di fargli capire che non si tratta di un film ma di pura realtà. Eppure questi paesi ne sanno qualcosa in tema di violenza negli stadi e di crisi di sistema, avendo dovuto affrontare immani tragedie, centinaia di morti e una forte perdita di competitività soprattutto negli anni ’80.

In Inghilterra la terribile ondata di violenza degli anni ottanta costrinse le istituzioni a cercare una soluzione per arginare il fenomeno, si delineò così un sistema fondato su forti strumenti repressivi (ad esempio le pene esemplari per gli autori di atti violenti) e ben più importanti strumenti di prevenzione.

A tal scopo si intuì subito che il vero punto nodale era rappresentato dagli stadi: la costruzione di nuovi impianti di proprietà, l’ammodernamento di quelli “storici”, il passaggio della proprietà dal “pubblico” ai privati, il mantenimento e il continuo aggiornamento, non solo sono stati in grado di debellare il fenomeno hooligans ma sono riusciti soprattutto a rilanciare l’Inghilterra al primo posto indiscusso dell’élite del calcio mondiale. Per far ciò venne istituito il Football Trust, un fondo finanziato dallo Stato attraverso la destinazione di una parte del prelievo fiscale sui giochi connessi al calcio, dalle agenzie di scommesse (che ottennero riduzioni del carico fiscale) e dalle istituzioni calcistiche del paese. In dieci anni il fondo ha contribuito a finanziare i progetti di 15 nuovi stadi e 47 complesse ristrutturazioni, supportando quindi gli ingenti investimenti delle società calcistiche.

In Germania invece il cambiamento di rotta ebbe come motivazione il rilancio dell’intero sistema che non riusciva più ad imporsi a livello internazionale, avendo già debellato il problema violenza negli stadi con una serie di norme e di pene certe e severissime ancor prima dei cugini d’oltremanica.

Politiche ferree e decisioni coraggiose hanno così portato in pochi anni questo Paese ad avere 14 stadi su 18 nella massima serie di proprietà degli stessi club o di privati riconducibili alle società. In generale poi la Bundesliga segna, ormai da anni, la crescita assoluta più alta d’Europa per incremento dei ricavi.

Qui si è saputo sfruttare perfettamente l’effetto e i finanziamenti provenienti dall’organizzazione della Coppa del Mondo del 2006, in occasione della quale si sono realizzati investimenti sugli impianti sportivi e sulle infrastrutture per oltre due miliardi di euro. Stadio, educazione e repressione sono stati le architravi del cambiamento che questi paesi hanno saputo affrontare e governare.

Nel nostro paese, invece, abbiamo assistito alla configurazione di un sistema che ha rinunciato a sostenere dei valori, a costruirsi un’identità, a seguire un progetto a lungo termine, ad avere una visione. Un sistema che è riuscito negli anni a produrre solo violenza, inciviltà e “sporcizia”. Nell’azione di un uomo che in piena coscienza si arma di pistola con l’intento di uccidere qualcuno in ragione dell’odio e dell’intolleranza; o nel comportamento delle “istituzioni” che, prostranti, legittimano il potere di un ultrà e gli conferiscono l’autorità per decidere se giocare o no una partita, vi è tutto quel marcio che il “sistema calcio” sembra quasi non avere interesse ad estirpare.

La soluzione è semplice, è dietro l’angolo e nel caso in cui non si avesse neanche la voglia di perdere tempo per definirla, basterebbe semplicemente copiarla.

In Italia dopo anni di immobilismo si è cercato di percorrere proprio questa strada: la legge sugli stadi formulata all’interno della legge di stabilità non sembra tuttavia possedere tutti gli elementi per curare prontamente le malattie del nostro calcio.

Così com’è, il provvedimento, invece di aiutare i club ad attirare investitori e costruttori privati, si è preoccupato unicamente di snellire tutte quelle lungaggini procedimentali che portano alla costruzione di nuovi stadi. Il rischio vero però è che saranno poche le squadre che potranno giovarsi di questa scorciatoia, molte infatti non riusciranno neanche arrivare a questa fase che presuppone inevitabilmente l’appoggio di terzi investitori e imprenditori.

Certo è che episodi come quelli di sabato in impianti sportivi nuovi e di proprietà delle società calcistiche, con norme repressive certe, severe e realmente eseguite e con una vera educazione allo sport e alla tolleranza verso l’avversario, non sarebbero mai potuti accadere.

Ciò che rimane di questa disgustosa ed ennesima triste vicenda è l’ineluttabile consapevolezza che il calcio italiano ha forse toccato il punto più basso della sua storia.
Valerio Carnevale (tratto da thefrontpage.it)

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