La gioia di questa grande stagione rende più facile l’autocritica: sui bambini ci siamo sbagliati. La serata che conclude il campionato è acusticamente martorizzata dalle vuvuzela ma è una sera di gioia, di applausi e di tifo corretto. I bambini napoletani – è ufficiale – non gridano “merda” all’avversario. Ed è tanto, anzi moltissimo.
I problemi restano tutti e non li ritiriamo. Il calcio non ha risolto la sua malattia grave, anzi gravissima, solo perché stasera è sfebbrato. E se non bastasse l’analisi elementare dei fatti, sarebbe sufficiente citare l’episodio che ieri ha riguardato Zuniga per capirlo. Viviamo col fuoco acceso in un deposito di legna. Però stasera, va bene così, anche perché siamo caduti tutti schiavi del trauma del 3 maggio. Non ci siamo goduti la coppa, non ci siamo goduti tre partite successive. Tutte, è vero, contro avversari ormai tranquilli, però chi potrebbe negare che è stato un Napoli brillante.
Ora il punto è proprio quello di non pensare di aver risolto tutto. Ascoltate Benitez, anche per il marketing, anche per i vivai, anche per l’idea di far vivere il calcio nella città. Perché questa città (io che non ci vivo dovrei dire: quella) è in continua libertà vigilata dal male. Mai pensare di aver risolto ciò che risolto non è. Però, anche in guerra, le libere uscite e le licenze contano per rifiatare. E bravi, bambini, soprattutto per il mancato “merda”.
Però poi ci impegniamo perché bambini possano essercene a tutte le partite sì? Come se fosse un mondo normale, insomma.
Vittorio Zambardino