Il quotidiano riporta i carteggi conservati nell’archivio di Condotte, la società che costruì il viadotto. Documenti non ancora acquisiti dalla Procura
Il Fatto Quotidiano svela il contenuto dei documenti contenuti negli archivi della Società Italiana Condotte d’Acqua, società costruttrice del Ponte Morandi.
Fondata nel 1880, la società, fino al 1970, è appartenuta all’Amministrazione Speciale della Santa Sede e di Bastogi. Poi è stata acquistata dal finanziere Michele Sindona che l’ha venduta al gruppo IRI-Italstat.
Oggi si chiama Condotte e sta affrontando un difficile risanamento.
I documenti contenuti nel suo archivio (lettere raccomandate, note, relazioni di collaudi), scrive il quotidiano, non sono stati ancora acquisiti dalla Procura di Genova. Dimostrerebbero che il Ponte presentasse diverse criticità sin dai tempi della sua costruzione.
Già la perizia dei periti del gip Angela Maria Nutini aveva accennato a tare originarie, per puntare il dito, però, sulla manutenzione carente.
E allora, scrive Il Fatto, “il segreto di quel ponte forse è conservato negli archivi delle società e degli enti che lo realizzarono”.
Più che un ponte, un monumento
Quando fu costruito, alla fine degli anni ’60, il Morandi era più che un ponte, era “un monumento”. Secondo i calcoli iniziali vi avrebbero potuto transitare 30mila auto al giorno.
Fu aperto il 4 settembre 1967, ma senza effettuare tutte le verifiche del caso.
“A partire appunto dai mali del pilone 11, da sempre l’osservato speciale del Morandi. Ci sono, per cominciare, le “filature capillari”, in pratica sottilissime crepe nel calcestruzzo. Quasi invisibili, ma molto allarmanti per i tecnici che dovevano mettere la loro firma sul via libera al ponte”.
Così iniziò un lungo carteggio tra il capo dell’Anas, ingegner Nicolò Trapani, il progettista del Morandi, Prezioso e i responsabili della società costruttrice, la Condotte.
Gli allarmi sulla pila 11
Trapani lancia l’allarme sulle crepe, secondo Condotte non ci sono problemi. Le fessure, scrive la società, hanno subito variazioni lievissime, meno di 0,002 centimetri e possono essere ricondotte al “residuo di piccole lesioni che si sono prodotte all’atto della costruzione”. Non comportano “alcuna menomazione della capacità resistente della struttura nell’attuale condizione di esercizio”.
Intanto l’Università di Genova compie delle analisi e, nel maggio 1969, Trapani chiede di conoscerne gli esiti e il parere del progettista, Morandi. Questi risponde dicendosi convinto della solidità dell’opera.
Su un’opera così colossale è normale che si susseguino controlli e sopralluoghi. Anche sulla pila 10 e sui suoi piloni di fondazione. Danno risultati soddisfacenti.
Dopo gli studi dell’Università e le rassicurazioni di impresa e progettista, l’ingegnere Trapani dell’Anas e il Capo della Commissione Collaudi, Prezioso, continuano a chiedere vigilanza (sulla pila 11) e certezza sull’effettuazione delle ispezioni richieste.
Il caso del camion meno pesante del previsto
L’articolo del Fatto è lunghissimo. Ci limitiamo a riportarne solo alcuni stralci. Come quello in cui si parla di un camion grandissimo utilizzato nel 1969 per il collaudo. All’epoca i collaudi venivano effettuati sul campo, con pesi e sollecitazioni reali.
Ebbene, il 26 settembre 1969, dopo gli allarmi e i solleciti di Trapani e Prezioso, la Condotte informa che sulla pila 11 sarà effettuato un collaudo.
C’è un solo modo per verificare che le incrinature non siano pericolose: sottoporre la struttura a un peso enorme, ben superiore a quello delle normali condizioni di esercizio. Che sarebbe un camion da centinaia di tonnellate. Ma un camion così grande non si trova. Ne viene utilizzato uno molto più leggero. È scritto nelle carte di archivio.
“Non essendo stato possibile rintracciare un doppio carico eccezionale, la prova sarà effettuata con un unico carrellone. L’idoneità è rimessa al suo esame e al suo benestare”.
Morandi risponde dicendo che dall’esame effettuato lui stesso sul carrello, si evince che “produrrà sollecitazioni non molto inferiori a quelle prodotte dai sovraccarichi di calcolo” e conclude che non ci sono ostacoli ad utilizzarlo per il collaudo.
Criticità anche sugli altri piloni
Il pilone 11 è sempre stato “il grande malato del Morandi”, scrive Il Fatto, ma anche l’unico che ha subito interventi risolutivi, a partire dal 1993.
Ma il quotidiano dichiara di aver interpellato alcuni ingegneri civili che preferiscono restare anonimi che ipotizzano che le fessure della pila 11 potrebbero non essere state le uniche.
“Forse in quella struttura si sono soltanto manifestate prima. Bisogna chiedersi se il ponte non sia nato fragile. Se non fosse malato dall’inizio”.
Nei documenti d’archivio di Condotte risulta che c’erano elementi da chiarire anche sulle pile 2 e 3 su cui la società rassicurava che avrebbe provveduto tempestivamente.
Ora, scrive il quotidiano, può essere vero che al tempo dell’intervento sul pilone 11, gli altri fossero integri,
“ma da allora a oggi ci passano venticinque anni e molti milioni di auto e camion che sono transitati sul Morandi”.
Del resto la perizia del gip dice che gli unici interventi efficaci messi in atto per interrompere i fenomeni di degrado sono quelli risalenti a 25 anni fa.
Anche se, dopo quella data, Autostrade ha giurato di aver effettuato la manutenzione, non sono stati realizzati interventi strutturali della portata di quelli degli anni ‘90.
“Eppure le condizioni non proprio perfette del ponte dovevano essere ben presenti, se Autostrade nel 2001 prese in considerazione l’ipotesi di demolirlo. Di costruirne un altro. Si preferì procedere con uno stillicidio di interventi. Finché si cominciò ad avvertire l’urgenza di una ristrutturazione completa della pila 9”.
Sappiamo che l’intervento sarebbe iniziato a settembre 2018. Purtroppo il ponte è crollato prima.
Un difetto di nascita?
I difetti della pila 9 erano una normale conseguenza dell’usura o un difetto di nascita? Si chiede il quotidiano.
Lo stesso Morandi, in uno studio del 1979, scriveva che prima o poi sarebbe stato necessario rimuovere la ruggine sulle parti della struttura esposte al vento proveniente dal mare, dannoso per il ponte. L’ingegnere parlava anche di “perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo”.
Forse, conclude Il Fatto, “il Morandi era malato prima di nascere. Doveva essere dismesso o curato”.
Forse i documenti della società Condotte possono servire a capire meglio cosa è successo.