Una tragedia tutta italiana in cui spicca la superficialità. Come la scelta di Autostrade, che oggi acquista un paginone si quotidiani per dire che porterà sempre Genova nel cuore
Non credo che dimenticherò mai il 14 agosto 2018. Come non ho dimenticato il 1 giugno 1981 e la tragedia di Alfredino. O l’11 settembre 2011 e lo sgretolarsi delle Torri Gemelle.
Poco prima di mezzogiorno di quel giorno assolato ero tranquillamente immersa in una leggera giornata di vacanze agostane. Poi l’edizione straordinaria del radiogiornale. “Sembra che sia caduto un ponte, a Genova. Le informazioni che arrivano non sono chiare. Ci sarebbero delle vittime”.
Sarebbero state 43. Quel ponte era il Morandi. Molto più di un ponte: un monumento. Tanti di noi c’erano passati, almeno una volta nella vita. Poteva succedere a chiunque, tra noi, di rimanere seppelliti sotto di lui.
Uno spartiacque
Il suo crollo è diventato uno spartiacque.
C’è stato un prima del crollo, in cui si viaggiava spensierati su viadotti, ponti, ponticelli e cavalcavia. E un dopo. Un momento in cui è venuta meno qualsiasi certezza. Capita, allora, che magari sbagli strada e ti ritrovi su un ponte di provincia, che davanti a te vedi lunghissimo, e sei presa da attacchi di panico incontrollabili. Perché sai che potrebbe cadere. E, comunque, certo non puoi più dire, dopo quel 14 agosto, se è capace di tenersi in piedi.
La grancassa che nasconde
Ma quello crollato l’anno scorso non era un ponte di periferia, era un colosso, un simbolo, l’unica strada possibile per tanti. E oggi è cancellato, distrutto, come se chissà cosa ci fosse da nascondere.
Ieri, sul Corriere della Sera, il concetto è stato espresso perfettamente da Marco Imarisio.
“Dal 14 agosto 2018 a oggi, la comunicazione sul seguito di questa tragedia è stata fatta con il megafono, diffondendo fiducia e ottimismo a piene mani, facciamo sistema, siamo una squadra fortissima, tutto rinascerà più alto e più bello di prima. Come se ci fosse un non detto, una realtà da nascondere tramite la grancassa della ricostruzione”.
Perché, ancora oggi, a distanza di un anno esatto, non ci si può non chiedere: come è potuto accadere?
Impossibile ricapitolare la mole di articoli scritti dal Napolista in 365 giorni. Abbiamo seguito la vicenda, dai giornali, ogni giorno in cui c’è stato qualcosa da raccontare. Oggi, guardando le commemorazioni in tv, gli speciali, gli approfondimenti, mi rendo conto di conoscere ogni singolo documento che viene chiamato in causa. Ogni nome coinvolto, ogni sussulto di quel ponte, ogni grido di allarme lanciato da quando fu costruito.
La paura che possa capitare ancora
Eppure, cosa resta tra le mani? Solo paura che possa capitare ancora.
Il 14 di ogni mese, dal 14 agosto di un anno fa, ho sentito rimbombare nel mio cervello 43 nomi. Cristian, Dawna, Kristal, Andrea, Claudia, Manuele, Camilla, Bruno, Alessandro, Mirko, Roberto, Ersilia, Samuele, Alessandro, Giovanna, Giovanni, Antonio, Matteo, Gerardo, Andrea, Giorgio, Angela, Henry, Vincenzo, Gennaro, Anatoli, Marian, Axelle, Nathan, Melissa, William, Luigi, Marius, Edi, Marta, Alberto, Stella, Carlos Jesus, Elisa, Francesco, Juan Carlos, Leyla Nora, Juan Ruben.
Oggi, ancora una volta, li ho ripetuti in silenzio, come una litania, alle 11.36.
La superficialità di Autostrade
Il ponte Morandi riguarda tutti noi: non è stata una disgrazia. È stato un disastro annunciato.
A distanza di un anno, ancora non ci sono colpevoli certi, cause chiare. Solo perizie deprimenti, che parlano di manutenzione insufficiente. E smentite. Parole. Vuote. Superficialità.
Come superficiale è il gesto di Autostrade, che oggi acquista un paginone sul Corriere della Sera e su Repubblica per rinnovare “il cordoglio e la compassione più sincera per le vittime del crollo e per il dolore dei loro familiari”.
Quella stessa compassione che non trovarono tempo e modo di manifestare fino a quattro giorni dal crollo, quando scelsero di indire la prima conferenza stampa post tragedia esattamente nel giorno in cui si celebravano i funerali delle vittime. Bella compassione davvero. Fu qualcosa che ci lasciò allibiti.
Ma non ricade certo tutto su Autostrade, figuriamoci (che, tra l’altro, scopriamo oggi, non risulta minimamente scalfita dalla tragedia). La concessionaria, che dice che avrà “Genova nel cuore. Per sempre” è stata in fondo solo lasciata libera di fare ciò che preferiva da uno Stato completamente assente e non per questo meno responsabile.
Sono tante le immagini che di questo anno appena trascorso mi restano negli occhi, oltre a quelle del crollo.
La conferenza stampa di Autostrade è una di queste, forse quella che mi ha dato la voglia di raccontare più o meno quotidianamente quanto riportavano i giornali.
La foto della vergogna
L’altra è sicuramente la foto che ritrae Giuseppe Bono, ad di Fincantieri, che se la ride con Giuseppe Zampini, ad di Ansaldo Energia. E’ il 23 agosto, neanche dieci giorni dalla tragedia.
Se la spassano con pacche sulle spalle e grasse risate durante un’ispezione al ponte.
Perché in Italia, comunque, si va sempre avanti, anche quando 43 persone cessano di esistere.