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Il Giornale: Mendes vince sempre. Fa cose che agli altri non sarebbero concesse

Gli basta un sorriso per agevolare le trattative. Fattura più di 1 miliardo l’anno, possiede anche una squadra. Iniziò con una discoteca a Lisbona

Il centro di tutto. Definisce così, Il Giornale, il procuratore Jorge Mendes, uno dei nuovi potenti. L’agente più ricco del mondo che non è in realtà un vero procuratore, ma un intermediario.

“Significa di solito che milioni di euro (ma anche dollari, yen o quant’altro) stanno passando da una squadra a un’altra facendo un giro nelle sue tasche. Mentre i giocatori fanno il percorso inverso e di sicuro sono sempre felici di farlo”.

Si dice che Mendes sia una specie di imperatore. La sua società, la Gestifute, occupa circa 100 collaboratori. Nell’ultimo anno ha fatturato più di un miliardo di euro. Oltre 100 milioni sono arrivati direttamente come compenso per il suo operato.

Dicono di lui che ci sa fare, sorride, è affabile, conclude così le trattative, ascoltando e comprendendo i problemi di tutti e, alla fine, guadagnandoci più degli altri.

A Lisbona, suo padre lavorava alla Petrogal, azienda che produce combustibili fossili. Faceva il portiere e aveva le chiavi per accedere alla parte sportiva della compagnia.

Mendes vi organizzava delle partitelle con gli amici. Li faceva contenti portando pallone e campo, lui che non era esattamente un talento con i piedi.

Il Lehmense, club di terza divisione, lo ingaggiò.Lui chiese che gli venisse ridotto lo stipendio in cambio della gestione della pubblicità durante le partite.

Poi aprì una discoteca e, dentro, vi mise, insieme, donne, dirigenti e calciatori.

Quando Mendes soffiò a José Veiga la procura di Luis Figo, Veiga, che era all’epoca il più importante procuratore di calcio, lo incontrò all’aeroporto e cercò di menarlo. Qualche anno dopo finì in bancarotta.

Quando Cristiano Ronaldo aveva 17 anni e giocava nello Sporting Lisbona, Mendes lo propose al Manchester United. Un’operazione da 15 milioni di euro nel 2003. Sei anni dopo, quando lo United lo vendette al Real, ci guadagnò 100 milioni. E Mendes, che era stato lungimirante, incassò una lauta commissione.

“Jorge Mendes in pratica lavora così, con le figurine. Ha quasi sempre le migliori, non solo in campo”.

Il Guardian qualche anno fa ha portato avanti un’inchiesta che ha messo in risalto gli strani intrecci tra Mendes e Peter Kenyon, ex Ceo del Chelsea, e alcuni fondi off shore dove transitano i soldi dei diritti dei calciatori.

“Ma nessuno alla fine ha indagato oltre. Perché Jorge Mendes le regole non le rompe ma praticamente sorride loro. E così, nonostante che a «terze parti» non sia possibile detenere quote di giocatori o di società, lui alla fine compare sempre dietro le quinte. Ammettendo il rischio di conflitto di interessi, ma ribattendo che lui in realtà cura gli interessi di tutti. E di nessuno tranne il suo”.

Dice di non accettare procure, ma di agevolare semplicemente i contatti tra le parti. Così la Fifa è costretta ad alzare le mani.

Nel mercato estivo Mendes la fa da padrone, con Raiola, che però è troppo chiassoso. Il portoghese, invece, mette a punto i suoi affari senza clamore, ma li conclude benissimo.

Qualcuno ha provato a sottrarsi alle sue cure. Lucho Gonzales, per esempio, si rifiutò di firmare con il Chelsea con lui come agente.

“A Londra non s’è più visto, lo hanno ritrovato un giorno in una squadra del Qatar con la carriera spezzata”.

Intanto Mendes continua a girare il mondo e a fare cose che ad altri non sarebbero concesse. Come

“firmare accordi con una società, il Monaco del magnate russo Rybolovlev, per farne parcheggio di giocatori. Oppure alla fine di prendersene una intera di squadra, il Wolwerhampton, attraverso un fondo a lui collegato. Non si potrebbe? Certo. Ma anche sul campo della Petrogal forse non avrebbe potuto portare gli amici. Anche in quel caso però è bastato sorridere a papà”.

 

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