Dopo 53 giorni Ciro si è fermato. L’abbraccio di tutta la comunità del Napolista va a sua madre e alla sua famiglia, a questa famiglia composta nel dolore, seria, equilibrata. Ci sentiamo feriti, tutti. È morto uno di noi. Un ragazzo napoletano, un tifoso come noi, uno che voleva vedere la sua squadra vincere.Ma qui dobbiamo saperci fermare noi, con l’equilibrio che è stato finora della famiglia Esposito. Non ci sono morti napoletani o romani, milanesi o genovesi. Ci sono i morti. In questo paese poi ci sono i morti per il calcio. Ciro Esposito muore perché in questo paese andare a guardare una partita di calcio mette in movimento impulsi delinquenziali, chiama in campo gruppi contrapposti, porta in superficie comportamenti e culture che altrove sono già state messe in condizione di non nuocere. In Italia no. In Italia, da ben più di trent’anni, questo massacro di vite (c’è un piccolo ma agghiacciante bilancio di gente morta per tifo) e di civiltà va avanti senza interruzioni.Ora si spenderanno molte parole e le più pericolose saranno quelle che non verranno dette, ma sussurrate nei passa parola. Le parole della vendetta. Amici tifosi, restiamo tutti molto freddi in queste ore. Bisogna respingere anche i soli sentimenti di vittimismo che potrebbero affiorare in tutti noi, anche giustificatamente. Anche giustificatamente. Perché la verità di quello che è successo il 3 maggio noi non la sappiamo ancora. E non parliamo soltanto della dinamica dei fatti che hanno portato al ferimento e alla successiva morte di Ciro, dinamica che va accertata e di cui stanno facendosi carico le indagini in corso e poi il processo che si farà. È un processo nel quale i tifosi di calcio di questo paese dovrebbero costituirsi parte civile. Perché direttamente danneggiati dalla violenza. Ma c’è un altro pezzo di verità che andrebbe accertato per non lasciare in giro più veleni di quanto questa notizia di per sé non sparga già a piene mani. È l’accertamento di quanto è successo “prima” che Ciro venisse colpito. Parliamo della catena di comportamenti che ha creato le condizioni di quella morte.La nostra domanda è questa: lo scontro (o l’aggressione) che ha portato alla morte di Esposito poteva essere evitato come è accaduto in decine, centinaia di altre occasioni? Noi pensiamo di sì. Non era “scritto” che quello scontro avvenisse. E c’erano tutti gli elementi che permettevano invece di prevederlo.Dopo il 3 maggio abbiamo, in una qual certa solitudine e con qualche sberleffo, richiamato più e più volte l’attenzione sulle contraddizioni, i non sensi, i problemi della gestione dell’ordine pubblico attorno alla stadio Olimpico nel pomeriggio del 3 maggio. Non ce l’abbiamo la tesi precostituita. Diciamo che siamo gravemente perplessi. Diciamo che le cose, altre volte, sono state gestite meglio. Diciamo che vogliamo la verità adesso che ricomincerà, per qualche ora, quanto basta, la giostra del cerino mediatico e del capro espiatorio. Perché non ci stiamo, noi tifosi del Napoli, tutti, ad essere la macchia umana che resta dopo che Forze dell’ordine, autorità sportive e politiche si saranno chiamate fuori dallo svolgimento di una giornata di follia indecente. Questa macchia è di tutti, è del Paese. E la verità la si deve a Ciro Esposito e alla sua famiglia, prima che a noi, che vorremmo solo guardare una partita in pace.Il Napolista
Ciro è morto per una partita di calcio
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