La prima volta che l’ho incontrato, Michu era un numero, un numero decimale. Per me contava quello, molto più del nome, che niente mi diceva e a poco mi serviva. La prima volta che ho incontrato Michu, fu colpa di Hamsik. Era l’estate in cui il Milan aveva tentato Marek, lui flirtò, oggi non ci importa neppure. Ma qualcosa mi era rimasto nella testa. Pensai: “E se va via?”. Volevo capire chi avrebbe potuto prendere il suo posto, se in Europa c’era un calciatore che avesse parametri vicini ai suoi. Mi buttai dentro la banca dati migliore d’Europa (Opta) e cominciai a selezionare i 20 calciatori – meglio se di 23/24/25 anni – che avevano le cifre più vicine a quelle di Hamsik in quel ruolo, voce per voce: assist, gol, palloni toccati, passaggi riusciti, contrasti, lanci lunghi, tocchi in verticale, eccetera eccetera.
Incrociai tutti i dati e il nome con i parametri complessivamente più simili ad Hamsik era lui, questo spagnolo che veniva dal Celta, la serie B spagnola, ed era stato appena comprato dal Rayo Vallecano.
Mi sono messo a seguirlo. Spezzoni in tv, immagini su YouTube, notizie in Rete. Michu segnava, segnava, segnava. Però non è che di lui si parlasse molto, non in Italia. Ma ad ogni gol, mi convincevo che quel metodo dei parametri aveva un suo valore. Fino all’estate successiva, quando Michael Laudrup, allenatore dello Swansea, in Premier League, decide di puntare su Michu. Il mio Michu. La mia scoperta. A quel punto, come si può immaginare, la mia vanagloria è montata. Inoltre, la Premier in tv si vedeva meglio della Liga: avrei seguito Michu meglio di prima. È stato così, scoprendo un po’ a sorpresa che era un giocatore persino più completo di quello che mi aspettavo, tanto che Laudrup quell’anno decise di farlo giocare pure da falso nueve, dando allo Swansea lo stile di gioco di Guardiola e vedendo ribattezzata la sua squadra dai giornali inglesi come Swanselona. Michu era, diciamo, un specie di Fabregas. Più alto però. Più rabbioso nelle sue esultanze. Calciatore anomalo per la Premier. Di nuovo con tanti gol.
Decido di saperne più di lui. Come uomo. Scopro che il suo cuore enorme gli fa mettere dei soldi di tasca sua per evitare il fallimento dell’Oviedo, la squadra della sua terra, club – se vi interessa – che già guardavo con simpatia, come tutti quelli nel mondo fondati nel 1926. Mi pareva un altro segno del destino. Scopro che il ragazzo non si lascia mai andare a dichiarazioni scoppiettanti, le interviste sono un poco mosce, ma qua e là confessa cose carine. Racconta, per esempio, che quando gioca alla playstation prende ancora il Celta, e nel Fantasy Manager gioca con l’Oviedo. Un ragazzo legato alle sue radici, questo viene fuori dai dettagli, un ragazzo come noi. Un ragazzo che quando dalla sua regione si era trasferito al Rayo aveva trovato Madrid caotica. “Uso il gps – spiegava in una intervista – e mi accorgo che ci sono 30 km da un punto all’altro della città. Quando abitavo a Oviedo, se facevo 30 km, finivo a Gijon”.
La curiosità verso Michu non si è spenta mai. Quando il Napoli ha preso lo Swansea in Coppa, mi pareva un altro segno del destino. Dell’infortunio, poi, si sa. Ma in cuor mio era rimasta la speranza di vederlo dal vivo e, lo confesso, di sapere se il Napoli mai si fosse interessato a lui. Ora è qui. Il mio Michu. La mia scoperta. Capirete quanto sono gonfio di vanità. O forse dovrei dire quanto potrei esserlo. Il metodo dei parametri usato per Michu, qualche estate fa, lo applicai di nuovo a Lavezzi. Per capire se in giro eccetera eccetera. L’incrocio dei dati mi diede un altro nome poco conosciuto. Roberto Firmino, brasiliano, oggi 22 anni, attaccante dell’Hoffenheim, campionato tedesco. Anche lui ho guardato in questi anni con la stessa curiosità con cui guardavo Michu. Anche nel suo caso penso chissà se il Napoli ha mai preso informazioni su di lui. Firmino però ha messo in crisi il mio metodo che pensavo infallibile. Viene da una stagione in cui ha segnato 16 gol, e 16 gol in un anno Lavezzi quando li segna. Ma in Michu credo. Vedrete. E comunque pure Firmino, Lavezzi o non Lavezzi, io lo prenderei.
Il Ciuccio