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E se Koulibaly fosse l’erede di Panzanato?

E se Koulibaly fosse l’erede di Panzanato?

Scettici per esperienze storiche (fregature varie) e ironici per disperazione (troppe delusioni), nella vita e nel calcio, abbiamo salutato l’arrivo di Kalidou Koulibaly con l’immediato soprannome di Koulibabà per tenerci alla larga da ogni amara sorpresa e prenderla sullo scherzo. Ma non avevamo fatto i conti col professor Benitez che sa e provvede. Il madrileno che dirige l’orchestra dei nostri sogni non pesca a caso i suoi uomini. Li conosce, li ha seguiti, li inquadra nelle esigenze del Napoli. Finora non ha sbagliato un colpo. Ricordate la previsione sui venti gol di Callejon che ci aveva fatto esclamare sì, va bene, bum, un Callejon de trippa?

Koulibaly, difensore della periferia belga del calcio, così giovane, 23 anni, da sfuggire ai nostri occhi e alle nostre orecchie sicuramente disattenti, ci faceva sorridere. È dai tempi di Titta Panzanato e Moreno Ferrario, rocce umane con facce poco rassicuranti, che non vantiamo un difensore di quelli che non lasciano passare neanche la madre se la madre fa il centravanti. Questo Koulibaly con la sua simpatica faccia senegalese, l’educazione francese e un soggiorno fiammingo in un città di carbone, è persino grazioso e ha una fisicità contenuta che non esplode e schianta. Insomma, un Koulibabà. Uno zucchero di canna. Abbiamo preso un ballerino?

Accreditato di un metro e 95 di altezza da almanacchi superficiali e ridotto di otto centimetri dalla precisazione di Nicola Lombardo, responsabile dell’area comunicazione e del sistema metrico decimale del Napoli (Koulibaly è alto 1,87), abbiamo pensato a un primo accorciamento delle qualità del difensore francese. Sciocchi. È che molti di noi hanno ancora la ruggine dei ricordi di Rincon, Crasson e Pavon da avere un istantaneo sospetto sullo straniero poco conosciuto. Koulibaly ci ha presi subito con la semplicità del suo gioco essenziale, sicuro, preciso già nelle apparizioni a Dimaro e ha strappato immediati applausi al San Paolo. Accidenti, questo Bronzo di Genk è già un nostro idolo. È un difensore di cioccolato fondente, non al latte. Duro, non morbido. L’agilità e la pulizia degli interventi, favoriti da un eccellente senso della posizione, fanno passare in second’ordine la sua notevole fisicità.

Ora, tappato un buco in difesa, rimane la “casella vuota” a centrocampo, fallito il sogno-Mascherano. Al fianco di Jorginho, Benitez non vuole un guastatore dedito all’azzannamento dell’avversario, qualità suprema di Behrami, ceduto all’Amburgo, e in maniera più disordinata virtù eccelsa di Gargano, rientrato in famiglia. Vuole uno “tosto” che sappia costruire gioco. Se non arriva Fellaini, un albero itinerante con la sua foresta di capelli, seconda solo ai supremi riccioli del pibe, e Kramer non suonerà per noi, non resta a Inler che mettere a lucido la maschera di leone regalatagli precipitosamente da De Laurentiis e farsene una sembianze di lotta e di governo che le sue qualità tecniche gli consentono, ma il carattere, la leadership, il comando, il coraggio e l’iniziativa sono ancora nascosti. Intanto, è rispuntata la luna a Marekiaro.

MIMMO CARRATELLI (dal Corriere dello Sport del 4 agosto 2014)

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